Riflessioni di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - IV Domenica di Pasqua --- Anno B

“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei ”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Questa che segue è la parte del Vangelo di questa Domenica: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”. Prendiamo l’ultima frase: “Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”. E partiamo dal fondo, per tentare di ricostruire il ragionamento al contrario, in modo da non perdere nessun pezzo per strada. [1] Gesù ha preso un comandamento dal Padre Suo; [2] altrove, nei Suoi discorsi, ha insistito nel dire che amare Dio vuol dire fare ciò che Lui dice, obbedire al suo comandamento. [3] Il comandamento che Gesù ha ricevuto è di dare la Sua vita per le ‘pecore’. [4] Gesù dà la vita, e quindi il Padre Lo ama. Così è tutto lineare: ma manca un pezzo, quello di “riprendersi la vita”.
Sembra un comandamento strano: dare la vita e riprendersela di nuovo. Abbiamo a che fare con un dono, in qualche maniera. Si può donare qualcosa e poi riprendersela? Lo chiameremo ancora dono? In verità, quando ci facciamo domande su Gesù, non dobbiamo mai dimenticare che è uomo e Dio, e che è quell’uomo lì perché è Dio. ... E poi c’è un altro dettaglio. Che non dobbiamo dimenticare. Giovanni scrive in greco e usa due parole per parlare della “vita”, e non le confonde mai. Noi siamo in pratica costretti a usare la stessa parola. E rischiamo di perdere la ricchezza e la sottigliezza del dire di Gesù. Con una parola (“zoe” – oggi lo si usa molto come nome di donna – zwhv) Giovanni indica solo e sempre la vita eterna, che Gesù è venuto a donare. Con un’altra parola (“psiché” – yuchv) indica pressoché sempre la vita umana fisica, quella che prima o poi termina (psiché vuol dire anima, ed è usata per dire vita umana perché l’anima è vista come il “fulcro” della vita, il suo motore intimo).
Qui, in questo discorso, Gesù dice che il comandamento ricevuto dal Padre è di dare la Sua vita umana per noi, e poi riprenderla di nuovo. Di fatto, Gesù non dice che Lui dona la Sua vita umana “a noi”, ma “per” noi. Poi la deve riprendere, e così dona “a noi” la Sua Vita eterna. La differenza tra il “donare a” e il “dare/donare per” non è di poco conto: è tutto. In sostanza, quel che Gesù dona a noi è la Vita Eterna, che non ci toglie più, e che solo noi potremmo perdere, una volta che ce l’ha donata. Un ultimo dettaglio, che ho tenuto “nascosto” finora: il brano di Vangelo letto in italiano parla sempre del “dare”, mai del “donare”; io ho usato sia la parola “dare” che “donare”, perché a prima vista sembrano potersi scambiare, e spesso è così. Giovanni però, quando riporta le parole di Gesù, è un po’ più ‘sfizioso’.
Quando parla della vita umana di Gesù, dice che “la dà”, o che la “mette lì” per gli uomini. Non è propriamente il dono, ma la condizione del dono vero e proprio, che verrà dopo. E che è questo: la Vita eterna. Quando parla della Vita eterna, allora sì che Giovanni dice che Gesù “la dona”. Non la “mette lì per...”, ma la “dona” a noi. E questo dono avviene solo dopo che Egli ha trasformato la Sua vita umana, ancora mortale, in vita umana glorificata ricolma di vita eterna. E questa ce la dona. ... E possiamo perderla solo noi. Ma, una volta che sappiamo che questa è la vera vita, chi la vorrebbe veramente perdere? Pace e Bene. Aggiungo per voi. Ho riportato per intero il discorso sul Buon Pastore perché vale la pena averlo tutto presente davanti agli occhi, anche se la liturgia di oggi ci concentra solo sull’ultima parte. Mi permettete una riflessione su di me ... su di me sacerdote? Il sacerdote, qualunque sacerdote, io, può avere una formazione per la quale la sua teologia e quindi il suo modo di pensare e di parlare e di fare catechesi sono un po’ lacunosi, un po’ in balia delle mode (sì, anche in teologia ci sono mode!); può aver ricevuto una formazione teologica e spirituale un po’ poco cementata su fondamenti indelebili e immutabili.
Può aver sortito, invece, una formazione ricca e variegata, e cementata su radici “eterne”, incentrata – a un tempo – sulla verità che non cambia (costi quello che costi: anche la vita) e sul rispetto della persona. Altri possono aver ricevuto formazione che scambia i libri e le teorie teologiche e liturgiche con le persone, e avere poca capacità di entrare nella vita delle persone. Ogni sacerdote può essere poco o tanto intriso del mistero di Dio, ed essere magari “catturato” di più dal tipo di ministero che sta svolgendo, ed esserne anche particolarmente orgoglioso e vivere di vanità. Un sacerdote può essere questo: e, come vedete, c’è un po’ di differenza tra un sacerdote di “un tipo” e uno di “un altro tipo”. Ma un fatto, mi sembra, permette di dire qualcosa che “pareggia i conti”. E che alla fine, con tutti i difetti, anche i peggiori possibili, fa sì che un sacerdote possa presentarsi davanti a Dio con un po’ di serenità per il giudizio finale. E cioè: se è disposto a dare la vita per i propri fedeli. Oppure no. Tante sono le sollecitazioni che questo discorso di Gesù sul Buon Pastore provoca ed esige, ma questa senz’altro mi tocca da vicino di più delle altre: non mi interessa dirvi (scrivervi) di quale categoria di sacerdote faccio parte, ma mi chiedo, con una certa preoccupazione: sono capace, e pronto a dare la vita per voi?
Non si scherza. È una domanda radicale. Una volta che è assodata la mia fede (poca e difettosa, ma comunque c’è), la domanda che io vivo è questa: sono capace e pronto a dare la mia vita per voi? Così che poi la Santa Trinità possa donarvi la vita eterna? Permettetemi di non darvi la risposta, anche perché questa risposta va data solo con i fatti, volta per volta, e qualora ci si trovi proprio dinanzi all’occasione di dover dare la vita. Che è più di dedicare la vita per voi.
Il discorso del Buon Pastore, insomma, interroga su molti aspetti pastorali e d’insegnamento ogni sacerdote, ogni vescovo e ogni Papa che si succede nella Chiesa ... ma penso che metta una domanda di fronte a noi senza scappatoie: “sei disposto a dare la vita tua per gli altri, e per chiunque degli altri?”. Certo, un sacerdote che, per i motivi più varii, fosse incastrato in una formazione teologica un po’ confusa, e che non insegni adeguatamente la verità ma corra dietro alle esigenze delle persone che ora vogliono bianco e ora rosso, e ora verde ... e che non metta davvero Dio davanti a tutto, non fa un bel servizio. Ma, se alla fine fosse comunque disposto a dare la vita per gli altri purché Dio li salvi, credo che sarebbe promosso. Anche se non insegnava proprio bene tutte le “faccende” di Dio.
E a me, quindi, la domanda resta: io, sono pronto a questo? Resta fermo che fa differenza un sacerdote ben conscio della verità nei suoi dettagli e nei suoi fondamenti; o un sacerdote ben capace di discernere tra coloro che non vogliono minimamente convertirsi e cercano solo appoggio per i propri comodi e coloro che piangono amaro perché non riescono a lasciare il peccato; o un sacerdote che sappia “sporcarsi le mani” senza sporcarsi tutto il resto e che sappia rendere gli altri un po’ più puliti, o almeno desiderosi di pulizia; o un sacerdote che sappia pregare, e che ricordi che Dio vale sempre più di ogni amore umano; o un sacerdote che sappia anche insegnare la buona educazione. Questo fa la differenza, certo. Ma, alla fine, la sfida – almeno per me – rimane quella: so dare la mia vita per gli altri? La mia vita temporale che comunque finirà, prima o poi ... affinché gli altri abbiano la vita eterna? ...

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