QUANDO IL CANTO E' PREGHIERA: ROSSINI E LA PETITE MESSE SOLENNELLE AL TEATRO VERDI DI TRIESTE IN UN'OTTIMA ESECUZIONE CURATA DA FRANCESCA TOSI

Nell’ambito dei suoi concerti estivi, dieci in tutto fra giugno e agosto, la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha ripreso l’attività musicale con le proprie compagini artistiche impegnate, in varie configurazioni, in appuntamenti musicali la cui fruizione è garantita anche attraverso la diffusione sui vari canali digitali. Nel rispetto di tutti i protocolli anti corona virus il Teatro Verdi è però impegnato al massimo per riprendere il contatto con il proprio pubblico. Ed ecco che i programmi estivi, di forte impatto popolare, sono in gran parte inseriti nella rassegna Trieste Estate del Comune con tutta una serie di concerti programmati la domenica mattina. L’eccezione che conferma la regola è da ravvisare nella prima esecuzione sul palcoscenico di Riva Tre Novembre, - non ci pare, infatti, vi siano stati precedenti - dell’ultima composizione di Gioachino Rossini, scritta dal musicista settantunenne nel 1863, la Petite messe solennelle. Considerata dal suo autore il suo ultimo “peccato di vecchiaia”, la Petite messe solennelle fu eseguita per la prima volta il 14 marzo 1864 in casa della contessa Louise Pillet-Will, alla quale è dedicata. “Ecco qui terminata, Buon Dio, questa povera Petite Messe”. – scrive Rossini nel congedo che segue l’autografo – “Sarà della musica sacra quella che ho appena creato o della musica dannata? Sono nato per l’Opera Buffa, lo sai bene! Poco sapere e un po’ di cuore, ecco tutto. Sii dunque benigno, e accordami il Paradiso”. Come dire, anche di fronte al fine ultimo, la morte, lo spirito di Rossini è ironico, e lo è perfino nel titolo che egli attribuisce alla sua composizione in cui la parola sacra è posta fra due aggettivi, petite e solennelle, che paiono contraddirsi, ma che alla fine risultano perfettamente congrui a restituire lo stato d’animo, fiducioso, di un Rossini che ha ritrovato se stesso.
Concepita per un piccolo organico vocale - nella stesura originale il coro è formato da sole otto voci e quattro solisti, i famosi dodici cherubini evocati dal pesarese – la Petite messe solennelle si avvale di un organico strumentale costituito da due pianoforti e un armonium. Solenne sì, questa Messa rossiniana di congedo dal mondo, ma piccola, una vera e propra messa da camera. La prima esecuzione fu offerta a un gruppo ristretto di persone, e fra esse vi erano Meyerbeer, Thomas, Auber e l’impresario Carafa. Rossini acconsentì a una replica, sempre in forma privata, cui assistette un pubblico un po’ più vasto e trascrisse per orchestra l’opera, che affascinò i musicisti più giovani, ma solo per evitare che altri lo facesse dopo la sua morte vietandone l’esecuzione che avvenne pochi mesi dopo la sua scomparsa, il 24 febbraio 1869. A questo geniale congedo rossiniano, che è anche un manifesto per la musica dell’avvenire, il Teatro Verdi ha dedicato due rappresentazioni che hanno visto radunati sul palcoscenico il coro stabile della Fondazione e il suo Direttore, Francesca Tosi, buona conoscitrice di una composizione con cui si è spesso misurata e di cui offre una lettura rigorosa, nel rispetto delle caratteristiche della musica sacra tradizionale di cui sono espressione la chiarezza della scrittura e l’uso dei fugati, ma che sa raggiungere soluzioni timbriche, che quasi anticipano avveniristicamente forme che si svilupperanno ben oltre la fine dell'Ottocento.
Tosi è stata magnificamente coadiuvata per la parte strumentale da tre eccellenti strumentisti dell’organico della Fondazione Teatro Verdi: Adele D’Aronzo, che seduta al grancoda Fazioli F308 gentilmente messo a disposizione dall'omonima casa costruttrice ne ha saputo ricavare sonorità da orchestra piena, Alberto Macrì al pianoforte di ripieno – un grancoda Fazioli F278 di proprietà della Fondazione – e, all’armonium – in questo caso un organo - Ilario Lavrencic. Quanto al quartetto solistico, presentava quattro artisti del territorio regionale, operando perciò in conformità con quanto suggerito dal Ministero. Tutti sono stati all’altezza della propria reputazione o della fiducia che, in questo caso, il Verdi ha dato loro. Giulia Della Peruta, sulla carta, non avrebbe la vocalità giusta, lei soprano che brilla nei registri estremi, per una partitura che chiede alla voce femminile acuta di esprimersi in una tessitura centralizzante. La cantante friulana ha saputo però destreggiarsi con molto onore, tenendo il suono leggero nei centri e curando la restituzione della parola cantata in modo tale da rendere i suoi soli quasi un momento di riflessione sul distacco di cui l’opera racconta.
Come dire, una bellissima prova. Alla voce di mezzosoprano e all’Agnus Dei finale in cui la sua voce si unisce a quella del coro, è offerto il momento più forte ed espressivo della partitura, e qui il canto, purissimo, di Daniela Barcellona ha saputo essere preghiera senza inutili forzature, in tutta semplicità, come Rossini esige. Un’autentica lezione di classe e di stile. Antonino Siragusa è un altro veterano delle esecuzioni rossiniane pesaresi, e anche lui ha saputo tenorilmente esprimersi al meglio delle sue grandi possibilità, svettando nel registro acuto, senza trascurare nuances ed espressività. Abramo Rosalen ha una delle poche autentiche voci di basso oggi in circolazione, e i suoi interventi, impeccabili sia sotto il profilo vocale sia sotto quello musicale, lo hanno abbondantemente dimostrato. Come dire, è stata quella di sabato, una serata di quelle di cui, il pubblico, sia pure distanziato ed esiguo rispetto alle possibilità di capienza del teatro ma molto attento, partecipe e generoso di applausi nel finale, non potrà che dire, è stata una fortuna esserci stato. 4/07 Foto di Fabio Parenzan. di Rino Alessi bellaunavitaallopera.blogspot.com

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