SONO QUI PER DIMOSTRARLO ORFEO NON E' SOLO UN MITO E' UNA GRANDE STORIA: DALL'ARCHIVIO DI REPUBBLICA 1985 INTERVISTA A CLAUDE GORETTA, IL REGISTA SVIZZERO
ROMA - Dopo Il flauto magico di Bergman, dopo il Don Giovanni di Losey, dopo la Traviata di Zeffirelli e la Carmen di Rosi è in arrivo un nuovo film-opera. Si tratta di Orfeo, trasposizione cinematografica del capolavoro di Claudio Monteverdi. Lo sta realizzando nello Studio 5 di Cinecittà il regista svizzero Claude Goretta, autore della Merlettaia e della Morte di Mario Ricci. Un' impresa ardua: quanto Traviata e Carmen, ma perchè no, Don Giovanni e Flauto magico, sono opere dalla teatralità dirompente, tanto l' Orfeo di Monteverdi è opera quasi statica, priva di colpi di scena. Ma Claude Goretta non si scompone: "quella di Orfeo è una musica che amo, che ascolto, che fa parte della mia vita. Amo l' opera e so che è una sfida portarla sullo schermo. Del resto se mi avessero chiesto di fare in film Traviata o Carmen con le quali non vivo...". L' idea di un film da Orfeo venne a Claude Goretta quando il Festival di Aix-en-Provence gli propose di mettere in scena il capolavoro monteverdiano. "Mi interessava farlo" spiega "ma non solo per la scena". Ed è nato il film le cui riprese termineranno a fine aprile e che è basato su una colonna sonora registrata a Lione dalla Erato, coproduttrice del film, con l' Orchestre de Lyon e i cori della Chapelle Royale diretti da Michel Corboz. Assieme, Michel Corboz e Claude Goretta, avevano realizzato in precedenza per la televisione svizzera un filmato sul monteverdiano Vespro della Beata Vergine, ma non un film vero e proprio "avevo chiesto a tutti i partecipanti, orchestra, cori e solisti, di vestirsi di nero, solo il direttore d' orchestra era in rosso. Ho messo la camera in mezzo a loro e ho cercato di illuminare l' assieme in modo da sottolineare la carica emozionale della musica". Per questo Orfeo il discorso è più complesso. Intanto si tratta di una vera e propria messa in scena d' opera, la prima in assoluto per Claude Goretta: "l' opera, la musica, sono parte della mia vita non professionale, specie nei momenti difficili. Non vado ai concerti e raramente a teatro: la musica la ascolto da solo, a casa mia. Io credo che la musica non si possa dividere con gli altri. Si può parlarne, ma non la si può imporre agli altri". Orfeo, che oltre che dalla Erato e prodotto dalla Gaumont francese e dall' Istituto Luce, sarà interamente girato in studio, la scenografia - di Jacques Bufnoir - è molto lineare e semplice, ma d' effetto, i costumi sono di Gabriella Pescucci, la fotografia è curata da Giuseppe Rotunno. Perchè si è scelto di girare senza riprese in esterni? "Perchè l' opera è un artificio", spiega Goretta. "E questo rapporto fra la convenzione e la vita che è l' opera, la si può realizzare solo in studio. Se ho bisogno di un raggio di sole, me lo posso creare, se ho bisogno del vento, lo posso avere artificialmente. Non sono sottomesso alle condizioni atmosferiche, e questo evita molti problemi. Ma c' è un' altra ricerca, in questo Orfeo, che stiamo tentando con Rotunno: quella di riprodurre immagini più vere che nella realtà. Immagini mentali, se vuole...". Non crede, signor Goretta, che il mito di "Orfeo" sia un po' distante dal pubblico d' oggi? "Si e no. Molti mi chiedono perchè io, che ho sempre raccontato storie di oggi, mi rifugio nel mito. E' vero che quello di Orfeo è un mito, ma per me è anche un' immensa storia d' amore, d' amour fou, se vuole: Orfeo che va a cercare la sua donna all' Inferno. E io ho sempre raccontato storie di oggi, ma attraverso dei rapporti d' amore. E poi quando il mito tratta della gioia e del dolore arriva agli esseri di oggi. C' è, in esso, qualcosa di universale: sono sicuro che tutti ci siamo posti di fronte alla morte e all' amore. Tutti avvertiamo questa vertigine che ci porta a respingere l' idea della morte e a trovarvi un rimedio". Quanto pensa che incida sul suo cinema il fatto di essere svizzero? "Vede, proprio perchè la Svizzera parla tre lingue io credo che non si possa parlare di un cinema svizzero. vero che quando i francesi hanno visto La merlettaia hanno detto che non era un film francese, ma è anche vero che gli svizzeri hanno rifiutato di presentarlo in America come film svizzero perchè hanno detto che non era nè svizzero nè francese". E lei? "Io faccio il cinema che mi corrisponde. Sono a metà tra l' uno e l' altro. Vivo sia a Ginevra che a Parigi. Ma, in futuro, ci sono film che vorrei fare in Svizzera, legati a opere di autori svizzeri come Ramuz o a personaggi svizzeri come Guglielmo Tell". Torniamo a "Orfeo": che legame c' è fra "Orfeo" e il suo cinema precedente? "Ho fatto film che esprimono l' amore, la vertigine, la morte. Sentimenti che si ritrovano nell' opera di Monteverdi. Molti vedono della crudeltà nel mio cinema. Io però nei miei film credo di dare uno sguardo solidale e lucido, ma non crudele, sugli altri. Anche a un personaggio negativo dò una dimensione che permette di relativizzarlo". Ma l' uomo della "Merlettaia" l' abbiamo detestato in molti.. "Sì, ma se lei ricorda, in macchina quell' uomo prova a piangere. Io, responsabile dell' immagine che gli dò, non gli voglio male. Lo salvo". Se dovesse somigliare a qualcuno dei film-opera che l' hanno preceduto, lei, Goretta, a quale vorrebbe che somigliasse il suo "Orfeo"? "A Bergman. il più giusto come punto di partenza. Non la più bella messa in scena, forse, ma il più giusto come opera filmata".
di RINO ALESSI
La Repubblica
25 aprile 1985
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