ACCOGLIENZE TRIONFALI PER LUCIA DI LAMMERMOOR DI DONIZETTI AL TEATRO VERDI DI TRIESTE CHE SI PREPARA A UNA NUOVA TOURNEE IN GIAPPONE

La Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste guarda a Est e, avviata una fruttuosa partnership artistica con il Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, ha siglato nei giorni scorsi un accordo con l’Hrvatsko narodno kazalište u Zagrebu, ossia il Teatro Nazionale Croato di Zagabria. Il protocollo di cooperazione internazionale, della durata di tre anni, rafforza ulteriormente il ruolo del Teatro Verdi di Trieste nella cooperazione culturale nell'area della nuova Europa. L'accordo prevede azioni sia per la valorizzazione reciproca delle risorse e delle rispettive produzioni artistiche sia la crescita e la circolazione del pubblico. Nelle prossime settimane, sarà istituito un gruppo tecnico di lavoro - con rappresentanti da entrambe le istituzioni culturali - per la definizione di un calendario di attività ed eventi, che si svilupperanno nel triennio 2018/2021. Nel frattempo, mentre sul palcoscenico di Riva Tre Novembre si snodavano le rappresentazioni di Lucia di Lammermoor, è stato presentato il progetto internazionale di una nuova tournée in Giappone della Fondazione a immagine e somiglianza di quella che, nell’ormai lontano 2003, portò nel Paese del Sol Levante le produzioni triestine di Tancredi, per la prima volta in Giappone, e Lucia di Lammermoor. Fra ottobre e novembre 2019 il Verdi sarà per tre settimane in Giappone con un nuovo allestimento de La Traviata. Per la sua particolarissima atmosfera romantica e per l’altrettanto particolarissima tinta orchestrale, oltre che per le sue melodie più celebri - una per tutte il duetto dell’addio “Verranno a te sull’aure” che non a caso tanto colpì Gustave Flaubert -, Lucia di Lammermoor è un “unicum” nella sterminata produzione donizettiana di cui il Teatro Verdi rappresenta, nella stagione in corso, ben due titoli.
La scena della pazzia non è un momento puramente convenzionale o un omaggio alla primadonna protagonista, come spesso affermato, è una scena in tutto e per tutto geniale nel restituire, sotto forma di un virtuosismo elaboratissimo, la patologia più frequentata dal melodramma e nel riprodurre sublimandolo l’urlo di una creatura spezzata da una realtà che non può più sopportare e si rifugia nella ripetizione ossessiva della melodia cara a Flaubert. Certo, Lucia di Lammermoor è titolo d’improba realizzazione e lo spettacolo appena ripresentato a Trieste è lo stesso che al Teatro Verdi andò in scena nel giugno del 2011 e di cui riferimmo sul numero 260 de l’Opera. Lo realizzano Giulio Ciabatti per la regia e Pier Paolo Bisleri per le scene, i bei costumi e il disegno luci non sono viceversa firmati in locandina. E’ uno spettacolo d’impianto tradizionale, quasi scolpito nella roccia di Scozia, e non è dei più funzionali viste le difficoltà che tutti gli interpreti incontrano a muoversi su un palcoscenico spiovente e accidentato, ma è molto elegante. Nel primo atto ci ha colpito l’atmosfera gotica e lunare della prima scena.
Se l’aspetto visivo non è nuovo, nuova per Trieste è la versione integrale dell’opera che di Lucia di Lammermoor recupera la prima scena del terzo atto, quella del cosiddetto duetto della torre fra tenore e baritono, e dà maggiore importanza al personaggio di Raimondo Bidebent, educatore e confidente di Lucia che entra così a far parte della lunga schiera, in chiave di basso, dei saggi consiglieri, in questo caso asserviti al potere del fratello-padrone. La compagnia di canto è ben assemblata. Alla rappresentazione cui abbiamo assistito Olga Dyadiv, ucraina, artista giovanissima e al debutto in Lucia, prendeva il posto della titolare polacca. Lo faceva con estrema disinvoltura e, pur rivelando un mezzo vocale ancora in evoluzione e debole nel registro medio-centrale, dominava le asperità della parte in modo egregio. Certo, il timbro non è di quelli privilegiati e l’accento non è quello della grande “tragedienne” e la sua Lucia bambina non è toccata dal lampo della follia fin dal suo primo apparire, ma l’agilità e i sopracuti sono affrontati con sicurezza e la celebre scena del sottofinale, ben cantata e ben recitata, le procura un uragano di applausi. Nulla da eccepire sull’Edgardo, più che sperimentato, di Piero Pretti. Il tenore sardo, in continua ascesa, è intenso nel fraseggio, accurato nella restituzione della parola “scenica” e cresce nel corso della recita per chiudere al meglio nella celebre e meravigliosa scena della morte.
David Cecconi è un Enrico Ashton sbalzato con l’accetta, più aggressivo e imperversante che cinico e crudele, ma la sua voce baritonale è di qualità; più sfaccettato risulta, sia sotto il profilo scenico sia sotto quello vocale, il ritratto che di Raimondo tratteggia Carlo Malinverno, un basso da tenere sott’occhio, e bene si comportano anche gli altri, Giuseppe Tommaso che è tenorilmente fin troppo sonoro nelle frasi che Donizetti attribuisce ad Arturo, lo sposino vittima della follia omicida della protagonista, Giovanna Lanza che è Alisa, la damigella di Lucia qui in funzione quasi materna, Andrea Schifaudo, l’armigero Normanno e il Coro stabile del Verdi magnificamente preparato da Francesca Tosi. Dal podio Francesco Maria Carminati, devoto al culto di Donizetti, ottiene compattezza di suono dall’Orchestra stabile del Verdi ed è molto accurato nel sostenere il palcoscenico pur scegliendo tempi, in alcuni casi, di grande rapidità. Al termine della rappresentazione cui abbiamo assistito, il pubblico che gremiva la sala ha molto festeggiato tutti gli artefici della serata. Foto: Fabio Parenzan Info: www.teatroverdi-trieste.com di Rino Alessi 28/03/2018 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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