CONDANNATA AL TRIONFO: all'Opéra Bastille di Parigi torna dopo cent'anni Les Huguenots di Meyerbeer

Condannata al trionfo, Les Huguenots ossia Gli Ugonotti, frutto di cinque anni di duro lavoro, è l’opera lirica più lunga e ambiziosa di Giacomo Meyerbeer, un vero e proprio Grand opéra in cinque atti su testo di Scribe e Deschamps. La prima assoluta all’Opéra di Parigi che a Meyerbeer l’aveva commissionata all’indomani del buon esito ottenuto da Robert le Diable, avvenne con successo il 29 febbraio del 1836; la prima italiana ebbe luogo invece il 26 dicembre 1841 al Teatro della Pergola di Firenze, con il titolo Gli Anglicani, nella traduzione di Marco Marcelliano Marcello e Calisto Bassi. Nella sfavillante ricerca timbrica, Meyerbeer reintrodusse in orchestra la viola d’amore per accompagnare alcuni recitativi. Il fatto di essere ambientata durante la Notte di San Bartolomeo, 23 agosto 1572, un fatto storico estremamente importante per il mondo protestante e all’epoca molto di moda in Francia, la rese invisa all’intellettualità tedesca. Meyerbeer aveva tentato addirittura di inserire tra i personaggi del dramma Théodore Agrippa d’Aubigné oltre a Enrico IV di Francia e Caterina de’ Medici; solo l’impossibilità di rappresentarla, in quel caso, anche in Germania lo fece optare per personaggi per lo più romanzeschi.
Imponente è la quantità di fonti da cui Meyerbeer attinse per quest’opera “monstre”: studiò il Salterio di Maraut, e, presso la Bibliothèque nationale, la musica strumentale francese del sedicesimo secolo; utilizzò lo Yigdal, o inno ebraico del sabato per il richiamo della scolta (“Rentrez, habitants de Paris”), mentre l’inno luterano Eine feste Burg di Martin Lutero, che fa da tema principale dell'introduzione, riaffiora nel canto del vecchio ugonotto Marcel e, affidato al coro femminile, poco prima della strage con cui l’opera cupamente si conclude. Certo è che Les Huguenots è opera mastodontica e miscela abilmente la verità storica con l’intrigo amoroso che vede coinvolto il personaggio salottiero della regina Marguerite de Valois; riascoltata oggi all’Opéra Bastille che a cent’anni dall’ultima esecuzione parigina la ripresenta in un nuovo allestimento che è tra i fiori all’occhiello di una stagione che celebra i trecentocinquant’anni di vita della massima istituzione musicale francese, stupisce per la sua complessità e per i suoi grandi momenti corali e desta interesse tra il pubblico che l’accoglie trionfalmente. Lo spettacolo di Andreas Kriengenburg che lo realizza con la collaborazione di Harald B. Thor per le scene, di Tanja Hoffmann per i costumi, di Andreas Grüter per il disegno luci e di Zenta Haerter per le coreografie, non è di quelli che lasceranno molta memoria di sé e rilegge il fatto storico trasferendolo in un futuro atemporale come monito alle violenze e ai fanatismi, presenti nell’opera, e ai giorni nostri imperanti.
I costumi, però, rimandano al passato della storia di Francia e l’azione si dipana su una struttura multipiano che, salvo qualche eccezione, per esempio l’atto “acquatico” che si consuma nei giardini del castello di Chenonceaux, ospita i vari episodi. Come dire, su una struttura che per certi versi ricorda un arredamento Ikea gigante, i personaggi rivelano il loro appartenere alla storia. Detto questo, la compagnia radunata dall’Opéra National di Parigi per Les Huguenots brillava nei personaggi salottieri, ma non operava scelte felici per quelli più squisitamente drammatici. E così, a fronte di una brillantissima Marguerite de Valois (fascinosa Lisette Oropesa che sotto il profilo virtuosistico non perde un colpo), deficitarie ci sono sembrate le prestazioni di Ermonela Yaho in Valentine, un soprano sostanzialmente lirico per un personaggio creato per la mitica Falcon, di Nicolas Testé in Marcel, un basso-baritono più che corretto, ma in difficoltà nella tessitura grave che caratterizza la sua parte, e soprattutto di Yosep Kang, il tenore coreano chiamato in extremis a sostituire l’artista previsto, cui si deve essere grati, se non altro, di aver salvato lo spettacolo.
Fra gli altri si mette in bella evidenza lo sbarazzino paggio Urbain di Karine Deshayes ed è apprezzabile anche Florian Sempey nel personaggio baritonale frivolo di Nevers. Gli altri si difendono, con una citazione speciale per il Saint-Bris di Paul Gay e per il magnifico coro stabile dell’Opéra National magnificamente preparato da José Luis Basso. Dal podio Michele Mariotti teneva, con onore, le fila di una serata interminabile, cinque ore di spettacolo. Gli si è rimproverato di aver praticato dei tagli alla partitura di Meyerbeer, ma già così lo spettacolo era lungo, figuriamoci in esecuzione integrale. L’Orchestra stabile dell’Opéra National gli ha risposto con grande slancio contribuendo da par suo al successo di una ripresa molto attesa. Foto: Agathe Poupenay Info: www.operadeparis.fr di Rino Alessi 1/10/2018 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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