Riflessione di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - XXVII Domenica Tempo Ordinario Anno B
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”. Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
Matrimonio e bambini i due “fatti” del Vangelo di questa Domenica. Non possiamo soffermarci su entrambi purtroppo, anche se sono strettamente collegati. Mi soffermo sul matrimonio. Matteo riporta lo stesso insegnamento di Gesù due volte, aggiungendo una specie di clausola che ha fatto discutere gli studiosi fin dall’inizio della storia della Chiesa (la clausola dice “eccetto in caso di ‘porneia’/ a meno che non sia per ‘pornèia’ ” - in greco: porneiva, che non può essere adulterio, benché alcuni studiosi provino ad affermarlo, perché nel Nuovo Testamento, e non solo, l’adulterio è sempre moiceiva - moichèia, e di per sé per la legge mosaica non comporta il divorzio, bensì la lapidazione! La difficoltà sta nel tradurre la parola ‘pornèia’. L’edizione della CEI del 2008 traduce ‘unione illegittima’, prima era tradotto ‘concubinato’). Fatto sta che quello che conta è il comportamento della Chiesa nella sua Tradizione con la ‘T’ maiuscola, e questa Tradizione ha sempre affermato essere volontà chiara di Gesù che un matrimonio vero o – con termine più ‘tecnico’ che usiamo oggi – un matrimonio sacramento celebrato validamente, non ammette rottura. E la validità non dipende dal fatto che il matrimonio è stato celebrato in Chiesa con tanto di firme e formule solenni, ma dalla disposizione interiore e dalla consapevolezza di fare quello che vuole Gesù, il Gesù vero.
E siccome oggi ci sono molte cause di divorzio che interessano molti cristiani, dobbiamo dire che se un matrimonio è stato celebrato validamente, il divorzio (o la separazione senza divorzio) può essere un’arma di difesa del coniuge più debole, che deve separarsi per non subire le continue angherie del coniuge malizioso. Ma, se il matrimonio era stato celebrato validamente, questo divorzio non può giustificare una nuova unione, un “rifarsi la vita”, come si dice in gergo. Perché se il matrimonio era vero matrimonio in Gesù Cristo, il coniuge più debole che si separa o divorzia per difendersi, deve rimanere fedele senza cercare un altro ‘partner’. Perché? Perché Gesù pretende questo? Se leggiamo con calma le lettere di San Paolo troviamo la spiegazione. Perché, quando un matrimonio è valido, gli sposi si sposano con Gesù, e Gesù affida a ciascuno dei due sposi la salvezza eterna dell’altro. Centra direttamente Gesù. Per cui, se uno pecca nel matrimonio, pecca prima di tutto contra la fedeltà di Gesù, che non ammette sconti. Un Gesù che è stato fedele fino alla morte di croce.
Tutto questo se un matrimonio è valido, vero. Altrimenti la Chiesa, riconoscendo la nullità di quel matrimonio (cioè che quel matrimonio non c’è mai stato davanti a Dio), afferma la libertà di potersi ‘risposare’, e questa seconda volta validamente, per carità! Perché Gesù esclude la possibilità che il divorzio sia come un valore, un diritto in mano di chi si sposa, una sorta di possibilità se “le cose non vanno come si sperava nell’amore”? Sapete, ciò che Gesù afferma va contro quello che in pratica è ritenuto giusto in tutte le culture di tutti i tempi. Che ci guadagna Gesù a mettersi contro tutte le culture del mondo e di tutti i tempi? E certo oggi, dove la fedeltà sembra spesso impossibile e spesso nemmeno giustificabile, la domanda ha importanza. Che ci guadagna? La risposta l’abbiamo già suggerita: Lui c’entra con quel matrimonio come il personaggio principale di quel matrimonio. Lui c’entra con quel matrimonio perché, se quel matrimonio è vero, conduce alla santità, cioè alla vita eterna. E quel matrimonio non è più soltanto una vita di coppia per essere felici “di qua”. È una vita di coppia per essere santi di qua e gloriosi di là.
Mi chiedo ... Vi chiedo: quanti sposi delle nostre comunità sanno questo, o se lo ricordano? E noi sacerdoti, come parliamo del matrimonio? Credo che a tutti spetti davvero un profondo esame di coscienza. Anche perché, con il mondo che stiamo costruendo, l’unica salvezza verrà da coppie di sposi santi, non da coppie di sposi bravi. La santità presuppone l’essere bravi, ma è di più dell’essere bravi. E oggi, come sempre, il mondo non lo salvano coloro che sono bravi, ma coloro che sono santi. Perché coloro che sono bravi soccombono alla malizia dei furbi, di coloro che fanno di se stessi il dio da adorare. Mentre, coloro che sono bravi e imbevuti della grazia di Dio, divengono santi e distruggono il potere di satana, che vuole distruggere il matrimonio e la famiglia, perché sa che, in se stessi, al di là dei difetti dell’uomo e della donna, il matrimonio e la famiglia sono immagine stupenda della Trinità, e sono immagine stupenda di come Gesù, con la particolare
collaborazione di Maria, ha redento il mondo. Ed è per questo che satana vuole distruggere il matrimonio: sa quanto vale agli occhi di Dio.
I bambini. Bisognerebbe fare un certo discorso sul valore del bambino nella cultura antica mediorientale. Tenendo conto di alcune cose certe che sappiamo, vi offro una spiegazione del tentativo di tenere i bambini lontani da Gesù. Il fatto che alcuni cercassero di impedire che portassero i bambini perché Gesù li toccasse non vuol dire che non interessasse nulla dei bambini. No. Ma un maestro incominciava a trattare con i bambini per insegnare loro la Legge soltanto a una certa età. E, nel tessuto della narrazione del brano evangelico appare che portano i bambini a Gesù “nel momento sbagliato”. Tuttavia Gesù rimprovera in maniera risentita. Li vuole questi bambini tra le braccia; e ci dice anche qualcosa che dovette colpire coloro lo ascoltavano proprio a motivo delle loro convinzioni, della loro cultura. E cioè: il Regno di Dio viene accolto dai bambini (da quello che sappiamo un ragazzino ebreo incominciava a essere responsabile della Legge – in maniera da divenire anche colpevole delle eventuali trasgressioni – quando aveva compiuto i 12 anni, che per quella volta erano parecchi, per nulla paragonabili ai 12 anni di un nostro ragazzino). Chi desidera che Gesù tocchi i bambini piccoli viene rimproverato perché non è quello il momento. In quel momento, se seguiamo la narrazione, Gesù sta istruendo i Suoi discepoli sul fatto del matrimonio/divorzio. I bambini in quel momento sembrerebbero fuori luogo. Gesù invece – come fece altre volte secondo quello che ci riferiscono i Vangeli – i bambini li vuole proprio, non Lo disturbano (ma non nel senso che li lascia urlare o giocare mentre Lui sta insegnando qualcosa di serio ai Suoi). Li vuole benedire, e interrompe per un attimo quello che stava facendo con i discepoli. E afferma che un bambino è colui che accoglie il regno di Dio nella maniera più corretta. Questa frase dovette sembrare un po’ particolare. Altrove Gesù dice che i bambini sono anche capricciosi e lamentosi, ma qui si concentra su un altro aspetto del bambino. Se il bambino capisce che una cosa è fondamentale ci si attacca con tutto se stesso (come per es. alla mamma, o al papà) e pone tutta la sua fiducia lì. E anche tutto il suo coraggio. Questo atteggiamento ‘radicale’ e ‘totalizzante’ del bambino è quello che Gesù pone in evidenza. E ciò significa anzitutto che anche i bambini piccoli possono essere, alla loro maniera, discepoli del regno; poi: il modo in cui i piccoli si attaccano alla persona che vuole loro bene è l’esempio di come si deve accogliere il Regno di Dio. Al punto tale che questo modo è l’unico per entrare nel Regno di Dio. E il Regno di Dio, leggendo passo passo il Vangelo, si comprende che è Gesù stesso, nel suo agire, nel suo vivere e nel suo parlare. Così Gesù, da una parte, dice con semplicità e affettuosità che i bambini son capaci di comprendere il Regno di Dio e di accoglierlo e, dall’altra, che comunque l’adulto, il discepolo dovrà sempre tenere il cuore di un bambino per quanto concerne le ‘cose di Dio’. Non nel senso che non deve maturare nell’uso dell’intelligenza, ma nel senso che deve rimanere totalmente pulito nel cuore per poter conservare la capacità della fede/fiducia, che vuol dire proprio ancorarsi con tutte le proprie forze e con la massima fiducia a quella che è la roccia della vita. Che è il Regno di Dio.
Postilla: il bambino interiormente sano conserva anche sempre l’umiltà e la capacità di accogliere i rimproveri (quelli giusti); il bambino certo si rattrista di essere rimproverato, ma se è sano interiormente, sa che il rimprovero lo fa crescere. L’adulto, spesso, quando si pensa autonomo e intelligente, non vuol essere rimproverato. Rischia, cioè, di perdere l’umiltà.
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