Riflessione di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - XXX Domenica Tempo Ordinario Anno B Mc 10,46-52
E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Ci potremmo chiedere: “ma perché gli intimano di stare zitto”? Con tutte le guarigioni che Gesù faceva, perché negare quella? A un povero cieco mendicante? E poi: le persone che intimavano di stare zitto, che diritto avevano su quel povero cieco? Che c’entravano loro? Mica erano ciechi loro? Diciamo che per fortuna lui grida ancora più forte. E siamo ancora più contenti che Gesù lo sente, si ferma, e dice di chiamarlo. A quel punto – non sappiamo se gli stessi che prima gli dicevano di stare zitto o altri – gli dicono “coraggio! Alzati, ti chiama!”.
La scena va vista, con calma. Va pensata. Va ricostruita. Va vissuta. Stiamo lì, nel gruppo, ma non mettiamoci con quelli che gli intimano di stare zitto, per carità! Stiamo lì però senza poter parlare: possiamo solo vedere e ascoltare. Questo è importante perché ci obbliga a riflettere di più e a leggerci di più e meglio dentro. E stiamo con quelli che sperano che Gesù lo senta, e lo guarisca. Allora: Gesù si ferma. Il cieco non lo sa, però. Gesù lo fa chiamare. Adesso il cieco sa che Gesù si sta interessando di lui. Qualcosa sta cambiando. Cos’ha vissuto dentro di sé Bartimeo in quel momento? Lascia il suo mantello, si alza, e raggiunge Gesù. Come? Accompagnato da altri, andando a tentoni con un bastone magari sì, comunque deve essere stato accompagnato da qualcuno almeno in qualche maniera. Magari, mettiamoci ad accompagnarlo noi. Le persone si fanno poco alla volta da parte, finché arriva da Gesù. Con quali stati d’animo ci arriva? Immaginiamo una fucina di emozioni, forse. E Gesù – strano! – non lo guarisce, ma gli chiede che cosa vuole che faccia. Domanda strana! Che cosa poteva chiedere un cieco? “Maestro, che io abbia la vista!”. Così è. E si mette a seguirlo.
Dunque: sulle due domande, la prima la mia, la seconda quella di Gesù.
Perché gli si intima di stare zitto? Forse perché Lo appella con un epiteto messianico? In ogni caso è un cieco che chiede pietà! Come si fa a non avere compassione di un cieco che chiede pietà, anche se usa un’espressione che qualcuno poteva ritenere fuor di luogo? Eppure ...
E poi la domanda di Gesù. Bartimeo dapprima chiama Gesù “Figlio di Davide”, che era un epiteto messianico, perché il Messia atteso sarebbe stato in qualche maniera misteriosa Figlio di Davide. Poi, lo chiama “Maestro”. Chissà da quanto tempo questo cieco aveva sentito parlare di Gesù ma non aveva mai avuto l’occasione di incontrarlo! E chissà come sperava di ... “vederLo”! Gesù non lo guarisce subito, vuole che glielo chieda, quasi a scegliere lui quel che Gesù doveva donargli. Alcuni – a ragione anche – scriverebbero, che quando un medico sa che può guarire un ammalato, chiedergli cosa vuole è pedagogico: lo si obbliga a elaborare la sua malattia e a porsi con misura corretta nei confronti di se stesso, degli altri, e della malattia che lo attanaglia. E lo pone anche in maniera diversa nei confronti della guarigione. Sì, questo può essere vero. Ma ricordiamo che qui è Gesù che gli fa la domanda. Gesù. Non uno come me. Per un attimo è come se tutto si fermasse, il tempo, il mondo, la storia ... Gesù fa una domanda ... come se la guarigione non fosse scontata, come se guarire per Lui non sia una specie di mettere un gettone in una “slot-machine”. Come se – ed è così – guarire è sempre una scelta, un’attenzione profonda verso l’ammalato, un coinvolgerlo in qualche maniera nella guarigione (l’aveva fatto anche con la emoroissa, ve lo ricordate?). Che avviene perché Bartimeo ha fede. Che si vede nell’insistenza. Nel non lasciarsi intimorire da chi lo ostacolava.
Scrivevo prima che è importante per noi confonderci nel gruppo delle persone che sta lì, sulla strada, e osservare, e vivere dentro di noi. In che modo Gesù avrà fatto quella domanda ... E come Bartimeo avrà chiesto di riavere la vista ... E come Gesù gli avrà detto: “Va’, la tua fede ti ha salvato!”. Come lo sguardo di Bartimeo avrà incrociato per la prima volta quello di Gesù, che è la prima “cosa” che lui vede; e che si ricorderà per sempre quello sguardo. E che i due si fissano. E che poi, il cieco va’ sì, ma va’ dietro di Gesù, che sta salendo a Gerusalemme per affrontare la Passione.
Le domande da farci sarebbero molte, di sicuro. Io faccio queste: come ci rapportiamo con chi è malato seriamente? Come ci siamo rapportati con la nostra malattia, se per caso ci è “venuta giù dura”? E quando la malattia non venisse tolta, come ci relazioniamo con Dio? E quando non è tolta ai nostri cari, come parliamo con Dio della loro malattia, della loro sofferenza? Come ci comportiamo con coloro che chiedono l’aiuto di Dio nella loro malattia? E quanto e come preghiamo, noi, per poter parlare con chi è malato? Per saperlo ascoltare? Senza magari confrontare le nostre malattie con la sua ... Sono domande che ritengo dure, forti, esigenti prima per me.
E, uscendo un po’ dal seminato del Vangelo, mi chiedo se ... Certo, la mia vita di parroco per il momento è una vita fatta di un po’ di faccende; ci sono anche gli ammalati. Quanto li ho presenti nella mia mente? Magari posso vederli poco, per cause di forza maggiore; alcuni magari nemmeno mi chiamano e manco so che ci sono. Perché ogni parrocchia è un po’ per conto suo. In ogni modo ammalati ci sono sempre, ammalati seri, cronici. Ammalati che a causa della loro malattia vanno verso la morte. Li ho presenti nella mia mente e quindi nella mia preghiera? O accade un po’ come se, lungo la mia strada di Gerico e la mia salita a Gerusalemme, cioè lungo la strada della mia vita, qualcuno o qualcosa impedisce agli ammalati di farsi sentire dentro di me, e quindi di non caricarmi nella preghiera delle loro sofferenze? Quante volte mi sono scappati ammalati, per impicci o faccende, quante volte magari nessuno mi ha detto che c’era un ammalato, e poi non ho più potuto fare nulla per loro?
Ammalati ... Ma vale lo stesso per coloro che sono tristi nello spirito e vivono chiusi nella loro solitudine amara ..., e non vedono molta luce e calore attorno a loro.
Ma, qualcuno mi dirà, non tutti ti vogliono o ti cercano (al contrario del barbiere di Siviglia!). È vero, forse anche mi cercano meno ancora della minima parte. Tuttavia, so che ci sono. E credo che sono stato costituito sacerdote per portarli almeno costantemente nella mia preghiera, se non posso vederli. Si tratta di esaminare il cuore, per vedere che posto hanno gli ammalati lì dentro. Forse qualcuno di loro manco sa pregare, o peggio. Sarà bene che sia io, sia voi, noi insomma stiamo lì a dire al Signore: “abbi pietà di loro!”.
Un’altra ‘cosa’. Che mi colpisce, mi ‘intriga’. Gesù sta salendo a Gerusalemme per l’ultima volta, per affrontare la Sua passione, morte ... E risurrezione per fortuna! Sale verso il Suo ‘destino’, detto in gergo comune. Sa bene dove va, ce lo ha ben chiaro nella mente, nel cuore, nei suoi colloqui con il Padre. Bene, nel frattempo in cui tutto questo alberga nel Suo cuore, si preoccupa di tutti coloro che incontra e lo vogliono. Sembra quasi dimentico delle Sue “preoccupazioni” interiori. Ha una grande capacità – unica – di guardare gli altri nei loro bisogni, nelle loro cose, senza farsi ‘dominare’ dai propri pensieri, da ciò che lo attende. È proprio una bella persona. Ciò che porta nel Suo cuore per quanto riguarda le “Sue cose” non lo distoglie o distanzia minimamente dagli altri. E non si fa nemmeno prendere dalla fretta, né dalla malinconia ... Per me, per quanto mi riguarda, ne ho parecchio su cui esaminarmi. Gesù non fa mai nulla con fretta. Precipitosamente, anche se ha volte alcune faccende le sbriga veloce veloce. Ma non frettolosamente.
Aggiungo per voi.
Una nota tecnica d’obbligo, d’obbligo per voi che siete abituati a note che vanno un po’ più in là di commenti immediati.
Questo fatto è narrato anche da Luca e Matteo. In Luca poi il fatto è seguito dalla conversione di Zaccheo, dentro Gerico. In Matteo c’è una particolarità vistosa: i ciechi sono due, senza nome. Ma vi ricorderete che anche nel fatto dell’indemoniato di Gergesa/Gerasa (meglio Gergesa) gli indemoniati sono due nella narrazione di Matteo.
I Padri della Chiesa offrirono commenti di ordine differente, e alcuni poi indagano sul significato spirituale della presenza di due ciechi e si soffermano sul significato spirituale-teologico di due ciechi, perché Gesù sta salendo a Gerusalemme per la Sua passione e risurrezione. Gli studiosi dei tempi moderni e dei nostri giorni tentano ancora altre spiegazioni. Ricciotti, un bel po’ di anni fa, faceva notare che non serviva negare l’esistenza del fatto o trovare spiegazioni arzigogolate, e ricordava che nel Medioriente di ieri e di oggi era normale che persone segnate da disabilità si mettessero a fare i mendicanti in gruppo, e che tra di loro c’è sempre uno che faceva e fa da portavoce degli altri. Ed era normale che un evangelista rispetto a un altro fosse interessato a un fatto trascurando dettagli storici e riportandolo, per alcuni aspetti, in maniera stringata, mentre un altro invece volesse sottolineare quei dettagli, magari perché vedeva in quei dettagli un significato ulteriore utile per il lettore. Matteo avrebbe quindi voluto riportare i fatti con dettagli, in questo caso, Marco si sarebbe concentrato su uno, quello dal nome conosciuto [ e, tra l’altro, vi ricordate che Marco almeno un’altra volta riporta il nome di uno che compare nella vita di Gesù, informandoci anche sul nome dei figli: Simone di Cirene, padre di Curzio e Rufo. È possibile, così, che quel cieco Bartimeo fosse conosciuto nella prima comunità cristiana ]. Di certo, tentare di negare il fatto – qualche studioso ha cercato pure di farlo – o sottolineare che la scelta di due anziché uno sia un espediente narrativo e che non ci si deve interessare della realtà storica è davvero andare ben oltre il plausibile; anche perché dobbiamo accogliere un’ottica di base fondamentale: non possiamo spiegare e capire tutto. Se Matteo e Marco/Luca fin dall’inizio intesero scrivere lo stesso fatto, non avrebbero potuto contraddirsi così tanto senza che le varie comunità cristiane nascenti ne fossero perplesse o infastidite. Anche perché, se tale discrepanza può colpire noi oggi, a maggior ragione avrebbe colpito in quei tempi, quando poco alla volta il confronto con le persone di cultura religiosa greco-romana diveniva sempre più importante ai fini dell’evangelizzazione. Teniamo conto che i cristiani, sempre di più, si trovarono a confrontarsi con persone che praticavano la filosofia e la retorica del loro tempo (e la retorica, che era l’arte del convincimento, era spesso usata nelle discussioni filosofiche, a volte sacrificando la rigorosità dei ragionamenti, e giocava sulle contraddizioni e sulle illusioni, e sull’estetica per convincere l’uditorio).
In conclusione, e in sintesi – così mi direte che ho sollevato un polverone senza risolvere nulla – si deve accettare che non possiamo trovare spiegazione per tutto, e che mettersi a cercare una soluzione per forza, dimenticandosi magari del resto, è una brutta strada, anche perché finiremo per cercare e inventare spiegazioni poi a catena, che ci soddisfino, perché “una tira l’altra”, e finiremo per lasciare il Vangelo, di fatto, ai margini della nostra strada, mentre il vangelo – questa volta con la “v” minuscola – su cui ci concentriamo diviene poco alla volta solo un prodotto delle nostre elucubrazioni: ma non sono quelle i fatti veri che ci salvano: al massimo possono dare soddisfazione momentanea, o un po’ più lunga, ai nostri desideri, al nostro sentirci accreditati. O addirittura famosi.
Altra nota birichina: e la metto giù per il rispetto per voi e per chiunque legge, perché chiunque legge si accorgerà che, secondo Matteo e Marco, Gesù sta uscendo da Gerico quando incontra il cieco mentre, secondo Luca, sta entrando – o meglio si sta avvicinando a Gerico – tanto che dopo troverà Zaccheo. Ricciotti, sempre lui, che peraltro conosceva bene la geografia della Palestina del suo tempo, e che – per chi lo ha letto un po’ tutto – sa che non è per nulla “devozionale” o “fondamentalista”, sulla scorta della archeologia faceva notare una cosa evidente a tutti, a tutti coloro che oggi volessero fare il percorso di Gesù – ci vuole un po’ di tempo, ma si può. La strada che Gesù stava percorrendo per andare a Gerusalemme ‘costringeva’ a passare per Gerico. Ma ... Quale Gerico? Appunto: la Gerico ben più antica del tempo di Gesù, quella che noi oggi chiamiamo millenaria, fatta di ruderi, e che per il pio ebreo era il ricordo delle gesta di Giosuè, quella stava sulla direttrice del viaggio prima della Gerico ‘nuova’, che tra l’altro doveva essere un bel po’ consistente, tenendo conto che c’era il palazzo spettacolare di Erode il grande – che morì a Gerico – con tanto di ponte sul torrente (che oggi chiamiamo Wadi Kelt). Un palazzo che aveva inglobato quello degli Asmonei. Per entrare nella Gerico abitata, nei pressi di questo palazzo sontuoso e davvero grande, bisognava transitare per la Gerico ormai distrutta, abbandonata. Dunque, l’entrare / uscire da Gerico non sono sviste dello scrittore male informato, ma corrispondono bene alla ... ‘planimetria’ del posto. Per qual motivo un evangelista si concentri sull’uscita dalla città vecchia e l’altro sull’appressarsi a quella nuova, questo lo lasciamo lì, finché ce lo racconteranno dall’altra parte gli stessi evangelisti. O sono prospettive differenti nel racconto, o semplicemente dettagli narrativi semplici messi lì così, senza ragioni di ordine superiore [ oppure – lasciate che scherzi un po’! – sono state scritte dagli evangelisti apposta per far litigare gli studiosi, sapendo che comunque non avrebbero mai potuto risolverle e che si sarebbero persi il succo del discorso ...
... Io, con la cattiveria che mi ritrovo addosso, se fossi stato un Evangelista, di sicuro qualche trucco del genere l’avrei ben combinato, per divertirmi lungo i secoli a vedere che cosa inventavano gli studiosi per spiegare tutto quello che avevo scritto, ... con la possibilità che, se mi fossi presentato a loro sotto mentite spoglie, e mi avessero fatto domande sul Vangelo scritto da me ma spiegato da loro, sarei stato bocciato come uno che non avevo studiato bene la materia ].
Vi benedico con affetto, prima le care ragazze e poi i ragazzi.
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