All'Opéra Bastille di Parigi si sorride con Ravel e Puccini: l'erotismo di L'Heure espagnole abbinato alla commedia nera su Gianni Schicchi. Il pubblico sotto i quarant'anni applaude

Terzo, e più popolare dei tre titoli del Trittico pucciniano, Gianni Schicchi fa ormai vita a sé sui palcoscenici di tutto il mondo e, abbandonato il primigenio abbinamento con le consorelle Il Tabarro e Suor Angelica, si preferisce abbinare la commedia nera di derivazione dantesca su libretto di Giovacchino Forzano ai lavori più vari. E’ dal 2004 che l’Opéra National di Parigi lo presenta in un godibilissimo allestimento di Laurent Pelly assieme a L’Heure espagnole, atto unico per cinque voci soliste con orchestra che Maurice Ravel compose nel 1907 su un libretto di Franc-Nohain. Tenuta a battesimo il 19 maggio 1911 all’Opéra Comique di Parigi, sette anni prima di Gianni Schicchi con cui Puccini si ripresentò al Metropolitan di New York dopo il successo de La Fanciulla del West, L’Heure espagnole, poco più di cinquanta minuti di grande musica, fu abbinata a Thérèse di Jules Massenet. La “comédie musicale” - Ravel preferì definirla così - non ottenne subito il consenso del pubblico e della critica che ne considerò il soggetto - una donna, l’irrequieta Concepcion che tradisce il marito orologiaio con tre uomini - troppo “osé” tanto che ci fu chi parlo addirittura di opera pornografica. La ripresa del 1921 ebbe migliori accoglienze, e nel 1971 il primo dei due lavori teatrali di Ravel fu riproposto all’Opéra di Parigi assieme a due titoli del trittico pucciniano, Il Tabarro e Gianni Schicchi, che la Ville Lumière per la prima volta presentava nell’originale testo italiano. Ne L’Heure espagnole il linguaggio della musica è legato nel modo più naturale possibile alla musica della lingua, dichiarò Ravel alla vigilia della prima parigina. A parte il tenore Gonzalve, cui sono affidate serenate e cavatine la cui musica è deliberatamente manierata, gli altri quattro personaggi della vicenda si esprimono nei modi del recitar cantando che Musorgskij utilizzò nel suo atto unico Il matrimonio in cui Ravel ravvisò il proprio modello.
Certo, siamo in un universo molto più definito e la tinta spagnola del lavoro è sottolineata dal frequente utilizzo di jotas, habaneras e malagueñas, ma - come in Musorgskij e nel Puccini di Gianni Schicchi - non si sa se apprezzare l’opera più per il suo testo corrosivo o per le delizie della sua musica, compreso il quintetto finale in forma di habanera. Detto questo, lo spettacolo che per la prima volta l’Opéra National di Parigi presentava alla Bastille è delizioso. Pelly, che ne firma la regia, lo realizza con la collaborazione di Florence Evrard e Caroline Ginet per le scene e i costumi e di Joël Adam per il disegno luci. Sia in Ravel sia in Puccini il congegno a orologeria della regia è perfettamente oliato e l’azione si dipana senza un attimo di tregua attorno al grande tavolo dell’orologeria di Torquemada (un magnifico Philippe Talbot) nella Toledo di L’Heure espagnole, e al grande letto in cui Gianni Schicchi (un Artur Rucinski al debutto nel ruolo e sorprendente per abilità scenica e vocale) si finge Buoso Donati compiendo, nella Firenze trecentesca che lo spettacolo suggerisce senza rappresentarla, l’impostura per cui il buon Padre Dante, lo condannò all’Inferno. Le compagnie di canto sono entrambe molto equilibrate e omogenee. In Ravel vanno segnalate accanto alle belle prove, sceniche e vocali della Conception del mezzosoprano canadese Michèle Losier e del mulattiere “macho” Ramiro del baritono Jean-Luc Ballestra, le impeccabili caratterizzazioni della stolida tenorilità di Gonzalve che lo spettacolo rappresenta come un figlio dei fiori un po’ fumato, da parte di Stanislas de Barbeyrac, e del sussiego nobiliare di Don Inigo Gomez da parte del basso Nicolas Courjal.
In Puccini, accanto all’impeccabile Rucinski di cui s’è detto, si mette in bella evidenza la coppia d’innamorati che ripresenta in Rinuccio il collaudato e svettante Vittorio Grigolo e in Lauretta il nuovo astro tedesco della vocalità sopranile Elsa Dreisig, fresca, immedesimata, in una parola brava. Il coro dei parenti ripresenta tre artisti già ascoltati in Ravel, Talbot, Gherardo, Courjal, Betto di Signa, e Ballestra, Marco: tutti e tre impeccabili. Il trio delle donne è bene assortito e alla veterana Rebecca de Pont Davies (una Zita segaligna e molto dinamica) affianca Emmanuelle de Negri, Nella, e Isabelle Druet, la Ciesca. Maurizio Muraro è un Simone giustamente autorevole mentre Pietro Di Bianco è meno macchiettistico del solito nel cameo di Mastro Spinelloccio, medico bolognese. Completano lodevolmente la locandina Tomasz Kumiega, Mateusz Hoedt, Piotr Kumon e il piccolo Etienne David della Maïtrise des Hauts-de-Seine.
Sul podio, alla testa dell’Orchestra stabile dell’Opéra National di Parigi un musicista giovane e molto promettente, Maxime Pascal, ha tenuto le fila delle due commedie con grande energia e determinazione, curando gli equilibri in orchestra senza perdere di vista il palcoscenico, il che, di questi tempi, è una rarità. Alla rappresentazione cui abbiamo assistito, la tredicesima di quest’allestimento, destinata per l’occasione al pubblico sotto i quarant’anni, il successo è stato vibrante per Ravel e trionfale per Puccini. Dopo lo spettacolo, il pubblico è stato invitato a un Aftershow disco-music nel Foyer panoramico dell’Opéra Bastille. Il marketing è marketing. E a Parigi lo sanno bene. Foto: Opéra National de Paris Info: www.operadeparis.fr di Rino Alessi 31.05.2018 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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