E IL TEATRO VERDI DI TRIESTE FESTEGGIA ROSSINI CON UNA BRILLANTE ITALIANA IN ALGERI

Penultimo titolo della Stagione lirica 2017/2018 del Teatro Verdi, L’Italiana in Algeri, porta l’omaggio della Fondazione triestina all’anno rossiniano in corso: nel 2018 cade, infatti, il centocinquantesimo anniversario dalla morte del grande compositore di Pesaro. Lo spettacolo accolto da un franco successo alla prima, è un nuovo allestimento in coproduzione con la Fondazione Teatro Verdi di Pisa dove ha chiuso la stagione ed è stato applaudito anche al Sociale di Rovigo: la regia è di Stefano Vizioli, che proprio a Trieste diresse, giovanissimo, una precedente edizione de L’Italiana in Algeri che, inaugurò - correva l’anno 1991 – una memorabile stagione lirica firmata da Giorgio Vidusso e Raffaello de Banfield. Opera tra le più rappresentate di Rossini, capolavoro indiscusso della tradizione comica, L’Italiana in Algeri racconta, su un libretto di Angelo Anelli, un fatto di cronaca e nasce come un’avventurosa corsa contro il tempo. Rossini la compose rispondendo alla chiamata dell’impresario veneziano Cesare Gallo, che a Venezia gestiva il Teatro San Benedetto, e che non si era visto consegnare alla giusta scadenza un’altra opera. “Nulla favorisce l’ispirazione più della necessità” scriverà Rossini a un amico; si dice, infatti, che il dramma giocoso in due atti fu terminato in meno di un mese e andò in scena trionfalmente il 22 maggio del 1813 bissando il successo di Tancredi con cui il Cigno di Pesaro si era presentato pochi mesi prima alla Fenice.
L’Italiana in Algeri trasformò definitivamente una giovane promessa italiana della musica in un protagonista della scena europea e resta uno dei suoi lavori comici più felici. Stendhal la definisce “la perfezione del genere buffo”. L'impressione di un'opera perfettamente compiuta si deve soprattutto alla fusione e al grande equilibrio fra la vena lirica e quella comica, che arriva a vertici che si direbbero grotteschi. Il tutto impreziosito da momenti di grande virtuosismo vocale - Isabella, la protagonista, è uno dei ruoli rossiniani per contralto più spericolati - e brillantezza orchestrale che soprattutto nella Sinfonia, ricca di effetti particolari, sono elargiti a piene mani. Brillantezza, brio e vivacità contraddistinguono la direzione di George Petrou, specialista del repertorio barocco ma di ritorno a Trieste con un altro titolo rossiniano, dopo il successo personale ottenuto due stagioni fa con La Cenerentola. Tempi spediti, grande capacità d’intesa con il palcoscenico e con le esigenze del canto, il maestro greco accompagna personalmente al cembalo i recitativi dando continuità e ritmo a un’esecuzione musicale impeccabile che mette in bel risalto l’Orchestra stabile del Teatro Verdi e le sue prime parti.
La regia di Stefano Vizioli, altrettanto vivace e di rara pulizia, s’impegna in un lavoro di precisione per arrivare al cuore delle situazioni e illumina la perfetta struttura architettonica di quest’opera. L’Italiana, del resto, è il trionfo dell’ambiguità: sul palcoscenico non ci sono più maschere stereotipate, e non ci sono ancora psicologie ben definite. La scena è catalizzata dai personaggi, dai caratteri, dai colori dell’anima. Colori che si ritrovano, più sgargianti che mai, nelle scene e nei costumi di Ugo Nespolo, artista versatile, che spazia in una vasta gamma di discipline, dalla pittura al cinema, dalle stampe alla scultura e che Vizioli ha più volte coinvolto nei suoi spettacoli ottenendo freschezza, divertimento e allegria in una sorta di “pazzia lucida” che è la cifra del Rossini comico, delle sue polifonie gestuali e testuali di cui L’Italiana in Algeri è uno dei massimi raggiungimenti.
La compagnia radunata la sera della prima era di qualità. Chiara Amarù è un’Isabella sorprendente per tornitura della frase, chiarezza nell’articolazione della parola “cantata”, virtuosismo e levigatezza del legato. Non sarà un contralto vero e proprio ma ci fa credere, con disinvoltura, di esserlo ed è, in sovrappiù, un’attrice brillante e spiritosa. Nicola Ulivieri in Mustafà non le è da meno per spirito e brio e lo abbiamo trovato in forma vocale smagliante come del resto il Lindoro, impeccabile nel legato come nell’agilità, di un Antonino Siragusa tenore rossiniano superiore a ogni elogio. Nicolò Ceriani, già Taddeo al Teatro Verdi accanto a Daniela Barcellona, è un buffo dalla comicità molto “british” e centra perfettamente il suo personaggio. Giulia Della Peruta è, come a Pisa, un’Elvira di grande rilievo, scenico e vocale, bene assecondata da Silvia Pasini in Zulma, dal valido Haly di Shi Zong e dal Coro virile del Teatro Verdi magnificamente preparato da Francesca Tosi. Al termine di una serata brillantissima il pubblico, numeroso in sala la sera della prima, ha molto bene accolto tutti gli artefici del magnifico spettacolo. Info: www.teatroverdi-trieste.com Foto: Fabio Parenzan di Rino Alessi 27 maggio bellaunavitaallopera.blogspot.com

Commenti

Post popolari in questo blog

ANDREA ZAUPA: UNA CARRIERA TRA CANTO, MEDITAZIONE E FOTOGRAFIA. INTERVISTA CON IL BARITONO VICENTINO CHE STA PER DEBUTTARE NEL PERSONAGGIO DI SCARPIA

IL TEATRO VERDI DI TRIESTE HA INAUGURATO CON SUCCESSO LA STAGIONE LIRICA 2024/2025 CON LA TRAVIATA: NEL CAST BRILLA IL GERMONT DI ROBERTO FRONTALI

CON UN MAGNIFICO SIMON BOCCANEGRADIRETTO DA MICHELE MARIOTTI L'OPERA DI ROMA HA INAUGURATO CON SUCCESSO LA STAGIONE 2024/2025 ALL'INSEGNA DEL RINNOVAMENTO: EQUILIBRATO LO SPETTACOLO DI RICHARD JONES