Riflessione di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - XXXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino alll'estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre. Quella che abbiamo letto è una parte del discorso escatologico: lo ritroviamo sia nel Vangelo secondo Luca sia in quello secondo Matteo. Matteo è quello che ci riporta la versione più lunga. Questo è uno dei casi nei quali per capirci qualcosa bisogna leggere non soltanto tutto il discorso che riporta Marco, ben più lungo dei versetti scelti per questa domenica, ma anche come il discorso venga riportato dagli altri evangelisti.
Dopo aver letto tutti e tre, avremo molte idee più chiare nel collegare le varie immagini del discorso, ma anche più interrogativi. Se leggiamo solo la parte assegnata per questa domenica, però, avremo soltanto interrogativi! Un’idea chiara è questa: Gesù parla assieme della fine di Gerusalemme per opera delle legioni romane (circa un 30/40 anni dopo questo suo discorso) e della fine dei tempi, quando Lui tornerà. E prende a esempio la fine di Gerusalemme per spiegare, in parte, la fine dei tempi. Le cose sono quindi un po’ aggrovigliate e misteriose, e vengono narrate – alcune – per immagini, con il linguaggio cosiddetto “apocalittico” già presente nei libri dell’Antico Testamento (per esempio quello di Daniele). Qui – è ovvio – non possiamo offrire una spiegazione dei dettagli del discorso, anche perché la sua interpretazione vede la Chiesa impegnata fin dai suoi albori, così come gli studiosi che da secoli si cimentano nel tentativo di decodificare alcune immagini e alcuni linguaggi. Per quanto ci riguarda, teniamo conto che siamo alla fine dell’anno liturgico e quasi all’inizio dell’Avvento, che – come sappiamo – hanno una caratteristica comune, quella di concentrarci sulla fine dei tempi che, prima o poi, verrà. Per cui, la Chiesa ci invita a porre ben ferma nella nostra mente la certezza che il mondo “di qua”, il nostro modo di vivere di qua, segnato dal tempo e dalla corruzione – non soltanto dalla corruzione morale, ma anche da quella della cose, con la morte – ‘ha da finire’: poiché aspettiamo “cieli nuovi e terra nuova”.
Dunque la Chiesa in queste ultime domeniche dell’anno liturgico e nelle prime dell’Avvento ci dice: “alzate la testa e guardate in alto! Ponete la mente fissa in Dio, perché la vostra vita là deve terminare, in Dio: il senso della vostra vita non è riposto in quello che riuscite a costruirvi di qua. Ciò che vi conquistate di qua e il modo in cui lo fate vi permette di conquistare la vostra dimora in Dio, ma non è – ciò che vi conquistate di qua – il vostro paradiso. Ricordàtevelo”. Gesù non ci dice quando sarà questa fine dai tempi, perciò ci offre dei dettagli – sui quali stavolta soprassediamo – e ci costringe a pensare in una maniera particolare: ogni giorno può essere la fine, nel senso che ogni giorno devi recarti a dormire chiedendoti se questa notte andresti volentieri incontro al Signore, se ti raccogliesse la morte. Ciò che ho fatto oggi, e il modo in cui l’ho fatto, mi pone in tranquillità davanti a Dio, se venisse a prendermi stanotte? Ciò che ho fatto oggi, se domani sarò ancora vivo, l’ho fatto bene dinanzi a Dio, per cui potrò continuarlo meglio ancora domani, oppure devo cambiare qualcosa o parecchio? Sia in quello che vorrò fare, sia nel modo in cui vorrò farlo. Discorsi troppo teorici? ... Pensate solo un attimo a questa possibilità, che magari oggi ci è capitata: oggi ho difeso una cosa giusta, che andava difesa, ma con un maleducazione tale da far vergognare l’angelo custode che mi sta a fianco? Quindi? Sarà bene che domani rimedi al modo in cui ho difeso una cosa giusta. Oggi ho preteso di avere ragione, e pure in maniera becera? Mi rendo conto che ho soltanto torto io? Sarà bene, per essere pronto a incontrare il Signore, che mi disponga per domani a correggere sia ciò che ho fatto, sia il modo.
Impegnandomi a cambiare anche per il futuro, “per non essere sempre il solito che la combina ogni giorno, tanto dopo chiedo scusa e mi perdonano!”. Ancora: oggi ho preteso di imporre una cosa che ritenevo giusta, in maniera decorosa, gentile, educata. Mi rendo conta alla sera che invece ho sbagliato: non correggerò domani il modo educato, ma dovrò correggere la cosa fatta. Così ci prepariamo ogni giorno all’avvento del Re del’Universo. Aggiungo per voi. La pianta di fico. Gesù parla dell’interpretazione dei segni. Ora alcuni segni non sappiamo mai interpretarli, perché non sappiamo che sono segni. Altri capiamo che sono segni, ma non diamo loro importanza nel momento in cui l’hanno, e pensiamo che le cose non dovranno poi essere così gravi. Altre volte capiamo che una ‘cosa’ è un segno e, a seconda dei casi, ci preoccupiamo o mettiamo in atto tutte quelle attenzioni per sfruttare al meglio quel segno. Per la fine dei tempi il Signore ci dà segni, sui quali bisogna saper pregare e meditare, per divenire capaci di coglierli quando essi accadranno. È quello che la Chiesa cerca di fare nel corso dei secoli, per offrire alle generazioni che si susseguono criteri validi e equilibrati. Ma credo che quello che il Signore ci dice oggi serva anche più in generale. Una faccenda come quella del fico, che non tocca per nulla la nostra coscienza morale ci aiuta molto. Cerco di spiegarmi. Quando non siamo compromessi emotivamente, o non è in gioco il giudizio morale su di noi, la nostra intelligenza riesce a cogliere i segni delle cose, dei fenomeni, e si comporta di conseguenza. Quando siamo molto coinvolti emotivamente non è detto che sappiamo essere attenti ed ‘efficienti’.
Meno che mai se si tratta di giudicare la nostra coscienza, la nostra moralità (nemo iudex in causa propria). Se ci capita di aver costruito uno stile di vita al quale siamo particolarmente attaccati perché ci dà gratificazione e sicurezza, non siamo più in grado di cogliere quei segni che ci mettono in guardia e ci spingono a rivedere le nostre abitudini e a convertirci. Quando invece il nostro stile di vita è uno stile buono, che edifica anche chi ci capita vicino e ci vive vicino, allora sappiamo cogliere quei segni che ci permettono di migliorare in progressione. Detto in altre parole e in due righe: essere accentrati su di sé è un guaio per me e per tutti quelli che mi passano attorno. Essere umili (umile non vuol dire ‘sempliciotto’) permette di avere sempre l’intelligenza sveglia e la volontà reattiva. Due piccole note ... “esegetiche”, “tecniche”. “In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Qual è “questa generazione? Intendete che è quella di cui sta parlando Gesù, non quella alla quale Egli sta parlando. Gesù parla di quella generazione “là” – che non sappiamo quando sarà – e ne parla come se fosse presente davanti a Lui mentre sta parlando. “Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”. Questa frase, soprattutto il fatto che nemmeno il Figlio – cioè Gesù ! – sappia il giorno e l‘ora ha fatto scrivere parecchio nei secoli, e anche oggi gli studiosi ci si mettono dentro nella disputa. Se leggete il Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 474) trovate delle interessanti note. Comunque, tenendo conto che Gesù parla offrendo anche segni piuttosto precisi che annunciano la fine dei tempi e la descrivono nel suo consumarsi, gli antichi interpretarono il passo, per la maggior parte di loro, dicendo che Gesù con quella frase intende dire che non è compito della sua missione terrena dirci quando questi fatti incominceranno ad accadere. Quasi a dire anche: “non fatemi domande perché non posso parlarvi di più su questo”. In effetti, si fa notare,come potrebbe sapere così bene i segni della fine senza sapere quando essa avverrà?
Se mi permettete, aggiungo però una disquisizione, sperando di essere chiaro, o come si dice a Roma, “sperando de capimme da me solo!”. Dunque, Gesù è il Figlio di Dio: e come Figlio di Dio, sa tutto, come il Padre, come lo Spirito. Sa tutto. Tutto vuol dire tutto. Ma con l’incarnazione Gesù ha assunto un’intelligenza umana e una memoria umana, particolarissime perché prive di peccato originale, e continuamente tenute “in piedi” dalla potenza divina del Figlio di Dio. E come tali, questa intelligenza e questa memoria lavorano con una rapidità e una sottigliezza che non ha paragoni. Ma, così in se stesse, sono pur sempre umane, cioè limitate. Solo che i limiti Suoi non hanno paragone alcuno con nessuna intelligenza di alcun genio: la sua intelligenza umana supera quella dei genii, perché è priva del peccato originale. Inoltre, ci sono conoscenze che alla Sua intelligenza umana e nella sua memoria vengono direttamente per dono di Dio, che gliele pone dentro. Quelle conoscenze lì, sono tutte quelle che Gesù deve sapere come uomo, per dono di Dio, perché Gli “servono” per la sua missine, che è quella di salvarci e rivelarci quanto ci serve affinché noi conosciamo noi stessi, Dio e interpretiamo il corso della storia. Tutto quello che l’intelligenza e la memoria umana di Gesù devono ricevere per dono diretto di Dio, lo ricevono. Su queste conoscenze donate, poi, l’intelligenza umana di Gesù ci si applica ed elabora i linguaggi con cui comunicarle a noi e le parole con le quali pregare. Bene: secondo punto, o secondo passaggio: ho scritto “tutto quello che Dio Figlio comunica all’intelligenza umana di Gesù. Cioè? C’è qualcosa che non Gli comunica? Per esempio ‘la data’ della fine del mondo? Stando alla frase del Vangelo sì, se Gesù non l’ha detta “per modo di dire”. In realtà noi non sappiamo che cosa comunica il Figlio di Dio alla propria intelligenza umana, se Gesù non ce lo dice. Noi di queste “comunicazioni”sappiamo solo quelle che Gesù ci rivela. Per il resto, possiamo solo sapere che tutto quello che il Figlio vuole e ‘deve’ comunicare alla propria intelligenza umana lo comunica. Ma non possiamo stabilire noi o sapere per forza che cosa comunica o che cosa non comunica.
Alla base di questo che ho condiviso con voi sta un punto fondamentale: Gesù è assieme Dio e uomo, e lo è continuamente, non a intermittenza. Però non è una mescolanza di Dio e Uomo (io uso qui questa parola mescolanza per farmi capire, ma questo in alcuni teologi di un tempo lo si è pensato, con terminologia più ‘elevata’). In lui divinità e umanità non sono separate, ma distinte sì. Per cui tutto ciò che è proprio della divinità funziona sempre in modo divino, senza interruzione. E tutto ciò che è proprio dell’umanità va avanti in maniera continuata, sempre. Ciò vuol dire che Gesù come uomo per sapere alcune cose che sono solo proprie di Dio deve saperle direttamente da Dio, che deve in qualche maniera “rivelargliele”; se no, non le potrebbe sapere, per quanto goda di un’intelligenza che non ha paragoni con quella di nessun altro. Perché alcune verità del mondo di Dio e del mondo dell’uomo non sono appannaggio di alcuna intelligenza umana, ma solo di Dio. Quindi, perché l’intelligenza umana di Gesù le sappia deve averle ricevute in dono da Dio: cioè il Figlio deve comunicare alla Sua intelligenza umana queste verità. Ecco perché gli antichi parlavano di quattro tipi di conoscenza o scienza che Gesù aveva: [1] quella divina come Dio, [2] quella di uomo ‘normale’, [3] quella ‘beatifica’, cioè quella infusaGli da Dio, donatagli direttamente da Dio, e [4] quella degli angeli, quella tipica degli angeli. Io ho scritto qui – in maniera molto succinta – di quella divina, di quella umana ‘normale’ e di quella infusagli da Dio. Tutte queste forme di conoscenza interagivano, evidentemente tra di loro, e l’intelligenza umana ‘normale’ di Gesù le “amministrava” continuamente. Ultimo: quindi, se Gesù con quella frase, che fece discutere molto fin dall’inizio della storia della Chiesa tanto che qualcuno trascrivendo i Vangeli la tolse pure (alcuni codici antichi non la riportano), ... se Gesù con quella frase ha voluto dire “non fatemi domande su questo, perché non è mio compito farvelo sapere: lo so, ma non devo dirvelo io”, dobbiamo dire che per noi sapere il giorno e l’ora della fine dei tempi non è fondamentale per la nostra salvezza, mentre sapere i segni che annunceranno quel giorno e quell’ora questo sì è fondamentale per la salvezza. Se, invece, con quella frase Gesù ha voluto dire effettivamente che conosceva bene i segni che annunciavano la fine ma non sapeva ancora il giorno e l’ora, allora dobbiamo dire quanto segue. A Gesù non faceva problema non sapere tutto con la Sua intelligenza umana, e non trovava questa mancanza uno sminuimento della propria dignità. Perché Gesù, nella propria consapevolezza di uomo, sa che riceve continuamente dalla propria divinità tutto quello che deve sapere e fare nella Sua vita terrena e tutto quello che deve comunicarci. Se c’è qualcosa che non sa con la sua conoscenza umana, vuol dire che non è importante che lo sappia. Almeno fino a quel momento lì. Se non è un problema per Lui, non deve nemmeno costituire un problema per noi. Non è meno Dio per questa “mancanza”, non è meno uomo per questa ‘ignoranza’.
A parte però questa frase riportata da Marco, non possiamo andare in giro dicendo tranquillamente che Gesù sapeva poco, che era molto simile a noi e che conquistava le cose passo passo: perché questo praticamente non è mai scritto nel Vangelo così semplicemente, e anche quando nei Vangeli si fa notare che cresce nella sapienza e nella grazia (cfr San Luca), si fa pure notare che la Sua conoscenza era straordinaria, e ben consapevole delle faccende di Dio. Il fatto che, eventualmente, non sapesse la data della fine dei tempi non autorizza a dire che non sapeva tante altre faccende. Dobbiamo stare solo a quello che Gesù dice, così come riportato nei Vangeli, e questa è l’unica volta in cui Lui stesso dice di non sapere qualcosa. Vi chiedo di scrivermi se su questa faccenda avete dubbi, perplessità: perché la scienza di Cristo, o la sua conoscenza, sono una realtà fondamentale per conoscere Gesù, ma noi ne parliamo troppo poco, o ne parliamo tanto ma male e in maniera maldestra, magari confondendo a volte alcuni elementi. Quindi, se non vi ho soddisfatto, o vi ho “scompigliato”, fatemelo sapere. Vi benedico.

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