NABUCCO TORNA SULLE SCENE DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE

A quattro anni dalla precedente esecuzione in loco, Nabucco è tornato sul palcoscenico del Teatro Verdi di Trieste come primo spettacolo del 2019. Del resto i rapporti fra il capoluogo giuliano e l'opera della rivelazione verdiana sono sempre stati molto felici: viva Nabucco, dunque, anche se non sempre al favore del pubblico corrispondono le simpatie della critica. Nonostante tutto, noi continuiamo a pensare con Massimo Mila che, fra tutte le opere giovanili di Verdi, il Nabucco resti, la meglio costruita. Insomma, senza nulla togliere ai tanti titoli degli "anni di galera" recuperati in questi ultimi tempi, è difficile resistere al fascino e all'energia morale di questo straordinario affresco corale. Vero è che l'opera, per cui il librettista Temistocle Solera si ispirò a un dramma di Anicet-Bourgeois e Francis-Cornu rappresentato a Parigi nel 1836 e servito poi di base al ballo storico Nabuccodonosor di Antonio Cortesi (Milano, Scala, 1838), si rifà spesso esplicitamente, al modello rossiniano di Mosé e alla tradizione dell'opera seria a grandi masse corali introdotta in Italia da Giovanni Simone Mayr, ma i modelli sono rielaborati con sapiente gusto del "coup-de-théâtre" e il contrasto che è alla base dell'azione, che non è tanto di passioni e d’individui, quanto di popoli e di fedi, accende la fantasia verdiana e cattura, ancor oggi, l'interesse dello spettatore. La stessa struttura del libretto - quattro quadri statici, che vedono ridursi nel corso dell'opera i motivi scatenanti del contrasto e diluire progressivamente l'interesse drammatico dell'azione - impone a chi la mette in scena dei limiti ben precisi. Così è per il regista Andrea Cigni che nel suo spettacolo, creato per il Ponchielli di Cremona e ripreso per l’occasione da Danilo Rubeca, ci ricorda che Nabucco è, sotto le spoglie bibliche, una sorta di monumento nazionale all’italianità. L’impatto visivo è gradevole, grazie non tanto alla regia, che segue percorsi risaputi, ma alle scene molto pulite di Emanuele Sinisi, ai costumi molto appropriati di Simona Morresi, al disegno luci indovinatissimo di Fiammetta Baldisserri: insomma, un Nabucco molto tradizionale ma scenicamente godibile.
Sul fronte musicale le cose non vanno nel migliore dei modi: Christopher Franklin, sente quest'opera e la realizza di conseguenza, assicurando all'esecuzione un ritmo davvero incalzante e guerriero e una scelta felice di tempi e dinamiche sonore che non sempre mettono a loro agio il palcoscenico, ma incidono. Perfino nella discussa (e discutibile) sinfonia, che è poi la sintesi orchestrale dell'opera in cui sono stati contati ben duecento colpi di grancassa, è stato evitato il rischio, sempre presente quando si tratta di eseguire Verdi e il primo Verdi in particolar modo di sonorità assordanti. In palcoscenico ha dominato il coro del Teatro Verdi diretto da Francesca Tosi, un complesso che, anche in tempi di crisi, è sempre il punto di forza delle esecuzioni d'opera a Trieste. L'appuntamento del terzo quadro (il celeberrimo "Va pensiero") della seconda parte ha provocato però solo applausi di cortesia. La compagnia di canto era, nel complesso, molto discutibile. Giovanni Meoni, è un Nabucco belcantista e di timbro quasi tenorile, meno autorevole e padrone della corretta scansione e articolazione della parola “scenica” di quel che la parte necessiti. Qualche incertezza nell’intonazione nei cantabili e qualche momento di stanchezza nella prima parte dell'opera non gli hanno impedito di crescere nella seconda, il che non è da tutti.
L'Abigaille di Amarilli Nizza è non solo scenicamente molto infelice, ma non è in grado di dominare, a causa di un'agilità non troppo rifinita, una delle tessiture più impervie e scabrose di tutto il repertorio verdiano. Flebile nel registro medio-centrale, non troppo sicura in quello acuto, finisce per risultare la sorella minore di Abigaille, anche perché l’intonazione è molto deficitaria e il cantabile incerto. Le cose vanno altrettanto discutibilmente con lo Zaccaria di Nicola Ulivieri, terza figura centrale dell'opera e per certi versi più importante delle altre due. La voce, a parte qualche acuto un po’ avventuroso, è debole e il registro grave inconsistente. Completavano il cast, Roberto Rados (Ismaele), acerbo ma dalla vocalità molto promettente, l'intensa e musicale Aya Wakizono (Fenena), Francesco Musinu (Il Gran Sacerdote di Belo), Andrea Schifaudo (Abdallo) e Rinako Hara (Anna). Alla prima successo per tutti. Foto di Fabio Parenzan. Info: www.teatroverdi-trieste.com di Rino Alessi 24 gennaio 2019 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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