DINO BUZZATI, LIBRETTISTA PER LUCIANO CHAILLY, GIULIO VIOZZI, MARIO BUGAMELLI e molti altri: riflessioni sul teatro musicale italiano del Novecento con un contributo di Fernanda Selvaggio

La funzione di compositori come Giulio Viozzi, che si accostarono più di una volta all’opera letteraria di Dino Buzzati da cui trassero libretti d’opera, fu quella - agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, - di “riportare la musica vicino agli uomini [e] restituirle una vera e propria funzione sociale nel mondo moderno” come acutamente osserva Massimo Mila nelle note di copertina di Buzzati in musica. L’opera italiana nel dopoguerra di Luciano Chailly (Curci, 2022).
Dino Buzzati Traverso, nato a San Pellegrino di Belluno, nel 1906 e morto a Milano, nel 1972 è stato – per chi non lo ricorda - uno scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta italiano. Fin da studente collaborò alCorriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale. Autore di un grande numero di romanzi e racconti, è considerato uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano: il suo libro più noto è Il deserto dei Tartari, romanzo del 1940 da cui Valerio Zurlini trasse un memorabile film. Buzzati in musica. L’opera italiana nel dopoguerra fu pubblicato nel 1987 dalle Edizioni Eda di Torino e ristampato da Curci, a cura di Angelo Foletto, parecchi anni più tardi. E’ un volumetto prezioso che mi fu donato, nell’edizione originaria, dall’amico Andrea, l’ineffabile Impiccione viaggiatore radiofonico dopo che avemmo la fortuna di assistere, al Politeama Garibaldi di Palermo, al Trittico di Luciano Chailly formato da Procedura penale, Il mantello ed Era proibito, tutti su testi di Buzzati, una di quelle operazioni culturali per cui era noto, un tempo il Teatro Massimo di Palermo, all’epoca operativo al Politeama. E’ stato osservato che la prima parola che viene in mente, anche solo scorrendo il volumetto, è ricchezza. Parola confermata dalla lettura del libro che a un certo punto ci catapulta nella Trieste anni Sessanta e Settanta del secolo scorso quando il Teatro Verdi era dedito, prima sotto l’illuminata Sovrintendenza di Giuseppe Antonicelli, poi nell’epoca di Mario Zafred, compositore a sua volta, e poi ancora in quella di Luigi Toffolo, per non parlare della lunga presenza di Raffaello de Banfield, a riportare la musica d’arte vicino agli uomini e darle un ruolo sociale, per citare Mila.
All’epoca Giulio Viozzi era figura di spicco nella Trieste culturale, e il suo operato di musicista, didatta e divulgatore di musica e cultura tout court non dovrebbe essere dimenticato. Pensiamo a quanto si spendeva, Viozzi, nell’attività dell’Associazione Amici della Lirica che operava all’epoca, al Circolo della Cultura e delle Arti, e poteva disporre della Sala del Ridotto per incontri con le compagnie di canto in scena al Verdi in cui lo stesso Viozzi sedeva al pianoforte e accompagnava, che so Cappuccilli nell’aria del Ballo in maschera, o altri artisti meno noti. Viozzi operista fu molto prolifico e, dopo i felici esiti di Allamistakeo da Poe e Il sasso pagano ispirato alla novella Il nume abbandonato di Otto von Leitgeb, rappresentata per la prima volta al Teatro Verdi di Trieste nel marzo del 1962 e poi riproposta a Palermo, a Catania e, nel dicembre del 1964, a Milano in forma di concerto nell'ambito della stagione lirica della Rai, protagonista sempre e comunque il grande Giuseppe Taddei. Fu in quel periodo che Viozzi rivolse la propria attenzione a un testo di Dino Buzzati, La giacca stregata, un racconto onirico in cui agiscono due soli personaggi, il protagonista, l’impiegato Giacomo Pallini desideroso di migliorare il proprio status, e il sarto che gli confezione e consegna la giacca del titolo. Viozzi lesse sul Corriere della Sera il racconto e ne fu conquistato. Scrisse a Buzzati che lo ricevette quasi subito a Milano.
Già al primo ascolto la musica di Viozzi, che suonò e cantò per lui brani dell’atto unico, gli piacque. Il titolo divenne La giacca dannata, monologo lirico in un atto (da un racconto di Dino Buzzati) che Sonzogno pubblicò nel1965 e che fu rappresentata a Trieste nel 1967 in apertura di una serata “tutta triestina” che comprendeva anche la decadente Alissa di Raffaello de Banfield in prima per l’Italia e, su testo di Viozzi, Una domenica di Mario Bugamelli. La direzione delle tre opere era affidata ad Alberto Zedda, non ancora approdato a Rossini, la regia a Carlo Piccinato, Renato Cesari s’incaricò sia del personaggio di Giacomo Pallini nell’opera di Viozzi, sia di quello del capofamiglia in quella di Bugamelli che ce lo presentò, durante un intervallo dello spettacolo, con grande imbarazzo di mia madre.
La giacca dannata fu ripresa nel 1972 al Teatro Nuovo di Torino, dove faceva da apripista al severo Job di Luigi Dallapiccola e alla cantafavola di Valentino Bucchi Una notte in Paradiso. Dirigeva Massimo Pradella, regista era Dario Dalla Corte, il protagonista era Otello Borgonovo. La vicenda de La giacca dannata è semplice e diretta e corrisponde alle esigenze di azione che Viozzi cercava nel suo teatro. Dalle tasche di questo indumento escono banconote a volontà che nell’impiegato in cerca di riscatto sociale provocano i sentimenti più diversi. La gioia iniziale fa presto a tramutarsi in ossessione, tanto che Giacomo finirà per bruciare la giacca e, con essa, spariranno anche le banconote accumulate. Come dire: chi troppo vuole, nulla stringe. Trieste ricomincia a interessarsi a Viozzi e per dicembre ha messo in cartellone, nell’ambito della stagione sinfonica 2023 del Teatro Verdi, la prima esecuzione assoluta di Musica per Svevo. Ora sarebbe il caso di riproporre qualcosa di teatrale. “Sono felice per la celebrazione del caro Maestro Giulio Viozzi, al quale mi legava una profonda e affettuosa amicizia” mi scrive Fernanda Selvaggio, storico primo violino di spalla dell'Orchestra del Teatro Verdi. “Ho la partitura autografa del suo Concerto per violino e orchestra che eseguii al mio diploma accompagnata da Luigi Toffolo, con Giulio Viozzi in lacrime nascosto da un enorme mazzo di rose rosse. Adoravo anche Gemma, sua moglie e spesso cenavamo insieme, con Giulio che era a dieta, e la supplicava "dame due bisi!". Era anche di una simpatia particolare ed è inutile che dica che amo la sua musica - ho eseguito anche alcune sue opere - così piena di energia e passione!”. di Rino Alessi Nelle foto; Luciano Chailly e Dino Buzzati sulla copertina del libro edito da Curci, un ritratto di Giulio Viozzi con dedica a Fernanda Selvaggio, Viozzi e la Selvaggio, la locandina del film Il deserto dei Tartari, da Buzzati 4/09/2023 INFO: https://www.teatroverdi-trieste.com/it/ https://www.ibs.it/buzzati-in-musica-opera-italiana-ebook-luciano-chailly/e/9788863954036 https://film.cinecitta.com/IT/it-it/news/68/1530/deserto-dei-tartari-il.aspx bellaunavitaallopera.blogspot.com

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