A OLTRE CINQUANT'ANNI DALL'ULTIMA ESECUZIONE A TRIESTE IL TRITTICO DI PUCCINI TORNA SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE

A oltre cinquant’anni dalla sua ultima esecuzione sul palcoscenico triestino, il Teatro Verdi ha riproposto integralmente e con vivo successo il Trittico di Giacomo Puccini nell’allestimento già visto la stagione passata al Comunale Nouveau di Bologna. Impresa non da poco quella della Fondazione triestina che nelle ultime stagioni aveva abbinato Suor Angelica e Gianni Schicchi ad altri titoli del repertorio novecentesco, trascurando Il Tabarro, ossia il primo dei tre atti unici della trilogia in cui si rappresenta, da diverse angolazioni, il tema della morte. Ed è proprio l’atmosfera cupa e oppressiva di questo lavoro d’ambientazione parigina che il librettista Giuseppe Adami trasse da “La Houppelande” di Didier Gold, che meglio è restituita dal bello spettacolo firmato da Pierfrancesco Maestrini per la regia, con la collaborazione di Nicolas Boni per le scene, Stefania Scaraggi per i costumi e Daniele Naldi per il disegno luci. Un team che abbina ogni pannello del Trittico alle tre cantiche della dantesca Divina Commedia in cui è citato, nell’Inferno, il truffatore Schicchi da Firenze.
A ogni atto unico è abbinata una cantica, l’Inferno per le anime dannate che agiscono ne Il Tabarro, il Purgatorio per quelle in attesa di giudizio della Suor Angelica, mentre a Schicchi è riservata la paradisiaca visione di una Firenze virtuale che chiude in gloria la serata. La cornice è molto cupa, nel suo assieme, con degli sprazzi luminosi che danno qualche raggio di luce alla narrazione che però è gestita con molto rigore facendo buon uso di immagini al laser e videoproiezioni. Se nel Tabarro il lavoro sugli attori-cantanti ci è sembrato più centrato con un finale di grande suggestione visiva, qualche perplessità l’abbiamo riscontrata nella staticità con cui è raccontata la vita claustrale di Suor Angelica e sullo scarso rilievo che è stato dato alla schiera dei parenti-serpenti dello Schicchi che si presentano abbigliati allo stesso modo e non sono caratterizzati come il testo richiederebbe. Detto questo, la gestione musicale della serata è stata affidata alle mani esperte di Francesco Ivan Ciampa, musicista di grande sensibilità ed eccellente concertatore che dall’Orchestra stabile del Teatro Verdi ottiene bella compattezza di suono in sintonia con un palcoscenico dove tutti possono esprimersi al meglio. Ogni tassello del Trittico è delineato nel migliore dei modi e un buon contributo alla riuscita della serata è offerto dagli interventi del coro istruito a dovere da Paolo Longo cui si aggiungono, nel finale di Suor Angelica, i Piccoli Cantori della Città di Trieste preparati da Cristina Semeraro.
Quanto alla compagnia di canto, nel Tabarro abbiamo apprezzato soprattutto il baritono Roman Burdenko, che è un vigoroso e introspettivo Michele. La coppia degli amanti è ben tratteggiata dalla vibrante Olga Maslova e da un Mikheil Sheshbaberidze che nelle invettive socialisteggianti di Luigi trova buoni spunti nel registro acuto. In Suor Angelica Anastasia Bartoli affronta il gravoso impegno del ruolo del titolo con mezzi vocali doviziosi e forte dedizione al personaggio. Nello Schicchi ritroviamo Burdenko, sapido protagonista, a suo agio anche nello scilinguagnolo toscaneggiante che lo contraddistingue. Accanto abbiamo ammirato la deliziosa Lauretta di Sara Cortolezzis e lo svettante Rinuccio di Pierluigi D’Aloia. Competono a un solo mezzosoprano, la valente Chiara Mogini, i personaggi di carattere della Frugola nel Tabarro e di Zita nel Gianni Schicci, e l’apparizione da incubo della spietata Zia Principessa nella Suor Angelica. Tutta la sterminata compagnia di canto si è comunque distinta per aderenza al rispettivo personaggio e ha meritato al termine di ogni atto unico e soprattutto in chiusura di serata gli applausi di un pubblico molto caloroso e partecipe. di Rino Alessi. Foto di Fabio Parenzan. 21 febbraio

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