ADDIO A GIUSEPPE BOTTA, TENORE DAL TIMBRO INCONFONDIBILE E PRESENZA COSTANTE NEI CARTELLONI DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE

Era nato a Gorizia, un po’ per caso, l’undici giugno del 1936, se n’è andato nei giorni scorsi a Trieste, dove è sempre vissuto, il tenore Giuseppe Botta, per tutti Pino, all’età di ottantasette anni. “E’ sempre stato una persona molto vitale e combattiva e nel settembre scorso era uscito da una situazione quasi disperata” racconta suo figlio Riccardo, tenore pure lui, al telefono da San Gallo in Svizzera dove è artista residente. “Questa volta non ce l’ha fatta.”. Figlio di mamma austriaca e padre pugliese Pino Botta studiò canto a Trieste con la signora Eulalia Slavich. Al canto arrivò per spirito di emulazione, suo padre che per un certo periodo fu lo chaffeur personale del Duca d’Aosta, era un grande appassionato d’opera. “Non aveva basi professionali” ricorda Riccardo, “ma la sua era una voce dal timbro baritonale molto potente. Gli piaceva cantare mentre ascoltava i suoi dischi. Ha sempre trafficato con le automobili e in un incidente di macchina morì cinquantenne. Uno dei primi ricordi che mio padre raccontava era quando, a soli tre anni, cantò davanti a una grande folla ad Addis Abeba dove la famiglia si era trasferita in quegli anni bui.”. Il timbro tenorile di Giuseppe Botta era, viceversa, molto delicato, uno dei più belli che chi scrive ha avuto modo di sentire in tanti anni di ascolti musicali: “era un timbro puro, aveva una malinconia nel suono molto particolare” aggiunge, con giusto orgoglio, Riccardo che di suo padre è stato allievo.
Giuseppe Botta era anche un buon chitarrista, un ricercatore curioso e instancabile di nuove musiche da imparare, un didatta appassionato, un pittore dilettante ma talentuoso e un grande estimatore di Trieste e del suo mare. La sua carriera iniziò nel 1962 a Trieste sul palcoscenico del Teatro Verdi dove fu per decenni una presenza fissa, in un’opera di Mascagni Il Piccolo Marat in cui fu accanto a Nicola Rossi Lemeni e Virginia Zeani, sotto la direzione di Oliviero De Fabritiis. Aveva appena vinto il concorso provinciale dell’Enal. Alternava personaggi di contorno a ruoli da tenore protagonista. Fu Ernesto in un Don Pasquale donizettiano qualche stagione più tardi, quando Luigi Toffolo riunì attorno alla presenza carismatica di Paolo Montarsolo, tre giovani artisti del territorio: Fulvia Ciano in Norina, Claudio Strudthoff, il Dottor Malatesta, e per l’appunto, Pino Botta. Altri personaggi in cui fu indimenticabile furono l’Innocente in un Boris Godunov accanto a Nicola Rossi Lemeni, dirigeva Franco Capuana, poi Zorzeto nel Campiello di Wolf Ferrari, ma soprattutto l’Astrologo, parte di tenore acutissima, ne Il Gallo d’oro di Rimskij Korsakov in cui fu, per la regia di Giancarlo Menotti e sotto la direzione di Oskar Danon, partner di Paolo Washington e della bella Gabriella Ravazzi, il primo seno nudo su un palcoscenico d’opera negli ormai lontani anni Settanta del secolo scorso.
Accanto a Boris Christoff cantò ne La Pskovitana del già citato Rimskij Korsakov, l’opera in cui debuttò al Teatro Verdi Daniela Mazzucato. “Christoff” racconta Riccardo “che in quell’opera era Ivan il Terribile apprezzò talmente le capacità di mio padre di farsi menare in palcoscenico, che lo suggerì al teatro di Genova per ripetere il personaggio dell’Innocente in un Boris Godunov di cui Christoff fu protagonista..”. Oltre che al Teatro Verdi, Giuseppe Botta fu presenza costante sui palcoscenici del Gran Teatro La Fenice – fu Monostatos in un Flauto magico accanto a Cesare Siepi, per esempio - e del Comunale di Bologna. Alla Scala fece una fugace apparizione in concerto per sostituire a tambur battente Nicolai Gedda nei Carmina Burana di Orff. Come insegnante, ricorda ancora Riccardo Botta, “il rapporto non fu facile, non era la persona saggia cui rivolgersi per chiedere consigli,
ma una fonte d'ispirazione per vivere la professione con passione e curiosità. Tentò in tutti i modi di evitare che io diventassi suo allievo, ma quando la signora Slavich, ormai molto anziana, declinò la richiesta di farmi da insegnante, si prese una bella responsabilità e mi ha dato delle basi solide, su cui ho potuto costruire, a mia volta, una carriera più che soddisfacente.”. A Giuseppe Botta fu attribuito, nel 1974 il Premio Puccini d’oro a Torre del Lago, la sua carriera sul palcoscenico fu quarantennale, uno degli ultimi personaggi al Teatro Verdi fu Goro, il perfido sensale di matrimoni, in una Madama Butterfly diretta da Maurizio Arena e messa in scena da Stefano Vizioli alla fine degli anni Ottanta. Fu un artista versatile, un musicista raffinato: ebbe il privilegio di condividere la scena con suo figlio in diverse occasioni. Riposi nella luce. di Rino Alessi 14/03/2024 Nelle foto, dall'alto, Giuseppe Botta in Il Campiello al Teatro Verdi di Trieste, con suo figlio Riccardo in Manon di Massenet, sempre al Teatro Verdi, padre e figlio tenori con Carlo Cossutta dopo una serata alla Sacra Hosteria bellaunavitaalloperablogspot.com

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