IL TRIESTINO LEONARDO VORDONI "SONO UN DIRETTORE ERRANTE"

Leonardo Vordoni, il giovane direttore d'orchestra triestino emergente da anni attivo negli Stati Uniti, è, fino al prossimo 17 giugno, sul podio del Teatro Comunale di Bologna per la nuova produzione del "Don Pasquale" donizettiano che la Fondazione felsinea ha realizzato in collaborazione con la neonata Scuola dell'Opera Italiana. Un esperimento innovativo che, alla prima, affiancava ad artisti affermati come il Don Pasquale di Michele Pertusi o l'Ernesto del giovane, ma già richiestissimo Francesco Meli, cantanti al debutto come la brillante Norina di Arianna Ballotta o il Dottor Malatesta di Davide Bartolucci. Lo spettacolo, un nuovo allestimento firmato da Alfonso Antoniozzi che da qualche tempo alterna l'attività di regista a quella di baritono rossiniano e donizettiano, da Tiziano Santi (scene), Claudia Pernigotti (costumi) e Andrea Oliva (luci) non punta sull'opulenza, ma sulle idee. Trasporta l'azione dell'opera ai giorni nostri (Norina alla sua prima apparizione non legge un libro ma un lungo sms ricevuto sul telefonino) ma senza stravolgerla. È un Don Pasquale moderno nell'ambientazione, questo di Bologna, ma antico nell'universalità dei sentimenti rappresentati e nel rifarsi direttamente alla tradizione del melodramma italiano.
In buca l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, una cui parte, che si riconosce nella sigla sindacale Fials-Cisal, ha dato vita nel finale a una singolare forma di protesta nei confronti della Sovrintendenza esponendo alle proprie spalle uno striscione in cui era scritto, a caratteri ben leggibili, "Tutino porta il teatro al fallimento. Salviamo il Teatro". Azione che, nell'economia di una serata coronata da un franco successo di pubblico, ha provocato qualche dissenso dall'alto nel corso del rituale dei ringraziamenti finali. «Onestamente non me ne sono proprio accorto - spiega il maestro Vordoni all'indomani della prima - mi hanno detto che qualche buh è arrivato anche mentre uscivo a ringraziare io… È stata tale la gioia di poter finalmente lavorare in un importante teatro italiano, di avere i miei genitori in sala la sera della prima e di sapere che da Trieste parenti e amici si muoveranno alla volta di Bologna per assistere a una delle repliche che la protesta di una parte dei professori d'orchestra e i buh dall'alto mi sono sembrati un fatto del tutto secondario». Parliamo di lei, a Trieste non solo è nato 37 anni fa e cresciuto, ma si è anche formato musicalmente? «Sì, mi sono diplomato in pianoforte al Conservatorio Tartini nella classe della professoressa Merlak. Al Tartini è avvenuta la mia iniziazione all'opera quando, per curiosità, mi sono iscritto a un corso di maestro collaboratore tenuto da Silvano Zabeo e organizzato dal Conservatorio in collaborazione con la Fenice e l'University North Texas di Denton. Io non sapevo nemmeno in che cosa consistesse il lavoro di un maestro collaboratore e ho cominciato a lavorare con i cantanti e ad appassionarmi ai problemi della vocalità. Da quel corso è nata una collaborazione con la Fenice durata dieci anni. Da Venezia sono passato a Ferrara Musica dove ho collaborato con Claudio Abbado per 3 o 4 produzioni. Poi il Rossini Opera Festival di Pesaro». E oggi? «Faccio la vita dell'emigrato. Vivo fra Kansas City e New York dove faccio parte dello staff del Metropolitan». Quando si è detto: sono un direttore d'orchestra? «Quando non mi sono più trovato a mio agio dietro a una tastiera e ho cominciato a interessarmi del lavoro con l'orchestra. Ho iniziato a Orvieto in un'opera-workshop in cui con cantanti al debutto e un'orchestra giovanile abbiamo approfondito il discorso su "Così fan tutte". Poi c'è stato il debutto ufficiale al Festival di Wexford in Irlanda che è stata la chiave che mi ha portato a Bologna, in una delle migliori piazze italiane». Oltre a diplomarsi in pianoforte a Trieste lei si è anche laureato. «Sì, in Scienze politiche e con una tesi sul divismo nell'opera lirica.». Cosa l'aspetta dopo "Don Pasquale"? «Un'opera contemporanea "Casanovas Homecoming" di Argento alla Minnesota Opera e poi una trilogia rossiniana composta da un "Barbiere" alla Colorado Opera, "L'Italiana in Algeri" per l'Utah Opera e "Mosé in Egitto" a Chicago». Torna spesso a Trieste? «Mi capita di tornarci, ci sono i genitori, i parenti. Esaurite le recite bolognesi, mi concederò due settimane nella mia città. Trieste la porto comunque sempre nel cuore, ovunque io sia». di Rino Alessi 15 giugno 2009

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