A UN ANNO DALLA MORTE IL MIO RICORDO DI GIORGIO VIDUSSO, IL GRANDE MUSICISTA E MUSICOLOGO TRIESTINO CHE FU SOVRINTENDENTE A FIRENZE, TRIESTE E ROMA

È quasi un anno che Giorgio Vidusso, il musicista e musicologo triestino che fu Sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste e di altri importanti Enti lirici italiani come il Comunale di Firenze nell’era Muti e l’Opera di Roma non è più tra noi. L’ultimo saluto alle sue spoglie mortali gli fu dato a fine ottobre dello scorso anno nella cappella di via Costalunga prima che la semplice bara sormontata da una chiave di violino fatta di fiori non fosse tumulata nel cimitero di Trieste dove Vidusso riposa. Diplomato in pianoforte aveva lavorato a lungo alla Rai, sia a Trieste sia a Roma. Era laureato in Lettere moderne con una tesi su Ravel e diplomato in pianoforte al Conservatorio Martini di Bologna. Abbandonata precocemente la carriera da pianista a causa di una grave malattia, nel 1950 fu a capo dei programmi di Radio Trieste e insegnò pianoforte principale al Conservatorio Tartini fino al 1957 quando la Rai, lo trasferì alla Direzione Generale di Roma con la qualifica di Capo servizio musica prima e vicedirettore poi. Nel 1967 assunse l’incarico di Condirettore del Centro di produzione Radio e di responsabile per la musica di RaiTre e di direttore artistico della sede Rai di Milano. Dal 1967 al 1971 fu direttore artistico anche dell'Accademia Filarmonica romana. Dimessosi dalla Rai, dal 1986 al 1990 fu Sovrintendente al Comunale di Firenze, incarico che lasciò per la Sovrintendenza al Verdi di Trieste, e dal 1994 per quella all'Opera di Roma. Fu tra gli organizzatori dei concerti da camera al Festival dei Due Mondi di Spoleto, dal 1973 al 1977, alla Fondazione Cini di Venezia, e consulente delle Biennali veneziane. L’ultima volta che lo incontrai fu per chiedergli la prefazione al libro su Bonaldo Giaiotti che stavo preparando per l’editore friulano L’Orto della Cultura e che è stato da poco pubblicato. Non fu facile convincerlo, ma ci riuscii. Con Vidusso, del resto, il rapporto non era mai stato facile, perché non era facile l’uomo. Ci conoscemmo a una cena in casa Pallavicino, a Firenze, al termine di uno spettacolo da lui patrocinato al Ridotto del Comunale di cui era regista Stefano Vizioli. Ci ritrovammo entrambi triestini all’estero, l’uno seduto accanto all’altro a tavola. Lo ritrovai anni più tardi Sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste. Io seguivo per varie pubblicazioni l’attività del Teatro. Non fu mai molto collaborativo e i giornalisti cercava di evitarli. In occasione di una recensione particolarmente riuscita e particolarmente elogiativa di uno degli spettacoli da lui messi in cartellone mi telefonò per ringraziarmi. Mi aveva inquadrato meglio e mi trattò con un certo rispetto.
Lo ritrovai da ex Sovrintendente in varie occasioni triestine. Con Vizioli, che gli è molto affezionato, lo andammo a trovare nella sua bella casa di via Romagna. Fu molto affettuoso, ci vedeva ormai molto poco, ma era ancora molto lucido e informato di tutto. Tullio Kezich, di cui era amico fraterno, mi chiese di invitarlo alla presentazione di un volumetto sul cinema che Tullio aveva pubblicato con Alessandra Levantesi, la sua seconda moglie. L’incontro si svolgeva alla Libreria Minerva di via San Nicolò. Dopo la manifestazione eravamo tutti invitati a cena da mia sorella Irene che è un’ottima cuoca e che riscosse molto successo presso i commensali. Vidusso fu l’animatore della serata raccontando aneddoti e curiosità di argomento musicale e non che tacitarono l’uditorio, ammirato dalla sua facondia. Era un uomo spiritoso: presentando la stagione lirica 1993/1994 del Teatro Verdi dirottata a causa dei lavori di restauro dell’edificio sulle Rive nella Sala Tripcovich, proclamò di aver scritturato la scenografa dell’opera inaugurale, Hänsel e Gretel di Humperdinck in versione italiana, per puro nepotismo. In quell’occasione debuttava come scenografa e costumista Nicoletta Costa, una delle illustratrici di libri per l’infanzia oggi più accreditate del mondo editoriale, che è, in effetti, figlia di una sorella di Vidusso.
L’ultima volta che lo incontrai per raccogliere l’introduzione alla monografia dedicata a Bonaldo Giaiotti dichiarò: “Io sono morto al mondo della musica nel 1999, quando è terminata la mia attività di organizzatore musicale all’Opera di Roma. Oggi ho un’età avanzata e sono pieno di acciacchi e, con gli anni, comincio anche a dimenticare tutto. Mi fa comunque piacere che ci si ricordi di me e solo per l’insistenza dell’autore di questo volume sono lieto di contribuire, per quel poco che posso, al ricordo di Bonaldo Giaiotti che ha festeggiato da poco gli ottant’anni ed è quindi abbastanza più giovane di me.”. “Mi si chiede se ero al Maggio Fiorentino quando Giaiotti partecipò allo storico primo Nabucco verdiano che Riccardo Muti affrontò per la prima volta al Teatro Comunale. No, non ero ancora arrivato a Firenze a quell’epoca ma Giaiotti, che ricordo come una persona molto amabile - era facile avere un buon rapporto con lui, era professionale e collaborativo - fu più volte a Firenze nel breve periodo in cui fui Sovrintente di quel teatro.”.
“Il problema della voce io l’ho studiato a fondo. Ho cominciato ad ascoltare musica da subito, quando ancora non sapevo nulla e la mia preparazione me la sono fatta con i dischi e la radio. Ascoltare la voce cantata aiuta anche chi, come me, aveva l’aspirazione di diventare pianista ed era considerato, in città, una specie di “enfant prodige” tanto che l’allora Sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste Giuseppe Antonicelli decise di farmi un regalo e, avrò avuto ventidue o ventitré anni, mi disse che mi avrebbe fatto dirigere da Vittorio Gui che era in cartellone nel concerto successivo. Va bene, risposi incosciente. Quando Gui seppe la mia età, obiettò ad Antonicelli, posso dirigere un giovane pianista, ma non un ragazzo. Venne però a casa mia per ascoltarmi. Quando ebbe appoggiato la pancia al pianoforte e mi disse, vai ragazzo! cominciai a suonare tremando. Bastarono cinque minuti e fui promosso. Ho suonato con il grande Vittorio Gui che mi ha voluto bene, tanto che arrivando a Firenze come Sovrintendente la vedova mi avrebbe voluto ospitare nella villa in cui abitava ormai da sola: saresti stato un pezzo di Vittorio che era ancora con me, mi disse.
A differenza di altri musicisti che vengono dalla sinfonica e dalla cameristica, mi sono accostato all’opera lirica con umiltà. Non mi piace Bellini, per dire il primo autore che mi viene in mente. Ma anni addietro scandalizzai un illustre musicologo che si pavoneggiava dicendo che amavo l’opera di Puccini e, peggio ancora, quella di Ciajkovskij. Molto, dell’opera lirica e della voce cantata, l’ho imparato partecipando alla giuria del Concorso di Spoleto dove sono tornato per una decina d’anni. Il nome di Giaiotti lo lego però all’esperienza fiorentina e quindi al mio trionfo professionale. Di fronte a tutta la platea del Consiglio d’Amministrazione il vicepresidente Bruno Barile, insigne giurista, propose che fosse aumentato il mio stipendio di Sovrintendente tanto erano soddisfatti del mio lavoro. Era il 1980 ed io, scioccamente, risposi, no grazie signori, lascio questo teatro e vado al Verdi di Trieste. Ancora mi pento di quella decisione.”. Vidusso, cui la vis polemica non faceva difetto, fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere Ufficiale della Repubblica Italiana. Ricordiamocene! Nelle foto Giorgio Vidusso è con Valeria Marini e Oreste Lionello in occasioni mondane. In basso una scena di Iris spettacolo che inaugurò una delle ultime stagioni liriche romane sotto la Sovrintendenza di Giorgio Vidusso: nella foto i protagonisti Daniela Dessì e José Cura di Rino Alessi 12/09/2017 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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