Léhar e Debussy per la rentrée operistica di settembre dell'Opéra National di Parigi alla Bastille

Trentaquattro spettacoli divisi tra lirica e danza di cui diciannove nuove produzioni sono in programma all’Opéra National di Parigi nella stagione appena iniziata. Fra le nuove produzioni spicca la proposta del “Don Carlos” verdiano che sarà presentato, protagonista lo stesso Kaufmann che la stagione passata scelse Parigi per fare il suo rientro in “Lohengrin” alla Bastille dopo una lunga pausa, nella prima versione in cinque atti, senza balletto ma in francese così come l’autore la concepì per la prima assoluta, a Parigi, nel 1867. La regia è affidata al controverso ma talentuoso Krzysztof Warlikowski, accanto a Kaufmann sono in scena Ildar Abdrazakov, Ludovic Tézier, Sonya Yocheva ed Elina Garanca. Nella stagione successiva l’opera tornerà sul palcoscenico della Bastille, ma questa volta nella tradizionale versione italiana in quattro atti. Philippe Jordan, che dirigerà il capolavoro verdiano, ha nel frattempo accettato l’incarico di Direttore musicale a Vienna e, prima del definitivo trasferimento, ha deciso di diradare gli impegni parigini ma sarà comunque alla testa dell’orchestra stabile dell’Opéra National anche per il “Benvenuto Cellini” di Berlioz nell’allestimento di Terry Gilliam già apprezzato a Roma e per il “Parsifal” con cui, nella messinscena di Richard Jones, prosegue il suo ciclo Wagner. Nuove produzioni sono in programma per il “Boris Godunov” di Musorgskij sotto la direzione di Vladimir Jurovski, per “La Bohème” pucciniana di cui Claus Guth firmerà la regia sotto la direzione di Gustavo Dudamel. Ampio spazio sarà riservato all’opera del ventesimo secolo e alla creazione contemporanea. Insomma, un programma molto nutrito e variegato, che si presenta di grande interesse per il pubblico francese e non che segue l’attività delle due sale dell’Opéra National di Parigi. Anche perché William Christie tornerà, dopo qualche anno d’assenza, a dirigere all’Opéra Garnier “Jephtha” di Haendel mentre il “Don Pasquale” donizettiano, farà il suo ingresso nel repertorio della maggiore istituzione musicale francese per la regia di Damiano Michieletto e, fra le riprese spiccano quelle de “La Traviata” con Anna Netrebko e Placido Domingo, del “Trovatore” con Roberto Alagna e de “La Vedova allegra” con Thomas Hampson e Véronique Gens.
E’ stata proprio l’immortale vedova lehariana a dare il la a una stagione tanto ambiziosa. Lo spettacolo di Jorge Lavelli che ne firma la regia con la collaborazione di Antonio Lagarto per le scene, Francesco Zito per gli splendidi costumi, Dominique Bruguière per il disegno luci e Laurence Fanon per le coreografie era la ripresa di una produzione nata a Palais Garnier nel 1997 e la rappresentazione cui abbiamo assistito la cinquantesima in questo collaudato allestimento. Inutile aspettarsi grandi novità. Non siamo d’accordo con chi ha ritenuto il trasferimento di questa elegante “Veuve joyeuse” da Garnier a Bastille. Il capolavoro di Léhar è simbolo di raffinatezza viennese ma accessibile a tutti e il richiamo che tuttora esercita è sempre operante. Non meravigliamoci quindi se il pubblico accorre e applaude, anche se, certo, non si tratta di un’edizione memorabile. Véronique Gens, nel “rôle en titre” è una Glawari sicuramente squisita ma appena sufficiente sotto il profilo vocale e abbastanza disinvolta sotto quello scenico. Stupisce soprattutto per la prontezza con cui passa, nei dialoghi, dal tedesco dell’originale in cui l’operetta è eseguita al più accessibile, per lei francofona, francese. Thomas Hampson è un Danilo ancora valido e carismatico, ma certo troppi anni sonno passati per renderlo credibile nel personaggio dell’attaché d’ambasciata sciupafemmine.
Più centrata la coppia clandestina del Pavillon con uno Stephen Costello di timbro accattivante e bella presenza scenica e quindi bene in evidenza nei languori di Camille de Rossillon e la brillante Valencienne di Valentina Nafornitja al suo felice debutto all’Opéra. Valide anche le prestazioni di Franck Léguerinel che è il cornificato Barone Zeta, dell’ex Heldentenor Siegfried Jerusalem nei panni comici, per lui inconsueti, di Njegus, cancelliere d’ambasciata, e di tutti gli altri, compreso il coro, ottimo, ben preparato da José Luis Basso. Dal podio Marius Stieghorst garantisce al tutto energia e il dinamismo che la musica lehariana esige. L’Orchestra stabile dell’Opéra National gli risponde con prontezza, inutile cercare in questa esecuzione finezze cui altre interpretazioni ci hanno abituato. E’ una “Vedova allegra” di cassetta che, giustamente fa cassetta. E non è un caso che la si alterni, nelle rappresentazioni dell’Opéra Bastiille, a uno dei titoli, “Pelléas et Mélisande” di Claude Debussy, che mai e poi mai sarà di cassetta. Anche in questo caso lo spettacolo, uno dei migliori di Bob Wilson che ne firma regia e scene con la collaborazione di Frida Parmeggiani per i costumi e di Heinrich Brunke per il disegno luci, è più che rodato e risale al 1997 anno in cui debuttò con successo all’Opéra Garnier. Nelle ultime stagioni è stato felicemente trasferito alla Bastille e Philippe Jordan se n’è appropriato e ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia ripresentandolo più volte e consegnando la sua notevole interpretazione al Dvd che l’Opéra National mette in vendita.
Difficile trovare simbiosi più riuscita tra la stilizzazione wilsoniana, qui particolarmente affascinante e coinvolgente, e la passionalità che Jordan riesce a trasmettere con discrezione e acume ricavando dall’Orchestra stabile dell’Opéra National la massima concentrazione e il massimo rendimento nell’accompagnare la vicenda dei due infelici amanti. Sotto il profilo stilistico si passa da momenti di naturalismo onirico (la foresta o il mare all'alba) ad altri più improntati al modernismo: ciò non incide sulla qualità dell’esecuzione, che è notevole, e soprattutto sul lavoro di Jordan sull’espressività dei cantanti attori, tutti eccellenti con la Mélisande di Elena Tsallagova in particolare evidenza, diafana e sfuggente come al personaggio conviene ma con una grazia danzante tutta sua e un’innocenza davvero rimarchevole.
Accanto a lei stupisce lo splendido Golaud di Luca Pisaroni, artista di grande temperamento che con una dizione e un'articolazione della parola scenica impeccabili e una vocalità dalle indiscutibili risorse ottiene il successo più cospicuo della serata. Stilisticamente altrettanto apprezzabile e timbricamente molto soggiogante si rivela il Pelléas di Etienne Dupuis, baritono in costante crescita in questi ultimi anni che proprio dell'opera di Debussy si sta rivelando interprete di riferimento. E molto brave si dimostrano anche la Geneviéve di Anna Larsson dal colore scuro e ambrato e l'Yniold "en travesti" della giovanissima e sorprendentemente matura Julie Devos. Inutile dire che il testo di Maurice Maeterlinck, così evocativo ed ellittico, non ha che da guadagnarci dall'essere cantato da artisti di madrelingua francese.
Con questo non vogliamo imputare all'Arkel di Franz Josef Selig (impressionante per voce e aderenza scenica al proprio personaggio) uno stile poco appropriato a Debussy. E' che l'opera in sé, vive come poche altre di raffinatezze e sottigliezze interpretative e solo chi ne ha la completa padronanza è in grado di restituirla in tutto e per tutto. Bene anche Thomas Dear, il medico che raccoglie le ultime parole quasi senza senso di Mélisande. Quanto all'Orchestra sotto la direzione del suo Direttore musicale, impossibile chiedere a una compagine e al suo concertatore un suono più morbido, raffinato e poetico. Serata ammaliante cui ha dato il suo notevole contributo anche il magnifico coro preparato da Alessandro Di Stefano. Alla fine applausi a non finire. Meritatissimi. Foto: Opéra National de Paris Info: www.operadeparis.fr di Rino Alessi 29/09/2017 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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