Riflessioni di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - II domenica tempo Ordinario Anno B

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” - che significa Pietro. Gesù nella Sua vita pubblica si è procurato molti discepoli, alcuni dei quali gli sono stati vicini solo nei momenti del “successo”, altri invece sempre. Questi di cui leggiamo oggi hanno una storia particolare. I primi due sono un “regalo” di Giovanni il Battista, il terzo è come un “regalo a catena”, quasi come “l’amico dell’amico che porta dall’amico”. Poi, il brano del Vangelo continua a mostrare come la catena si allunga: Gesù trova Filippo, lo chiama direttamente, e Filippo va a chiamare l’amico Natanaele.
Sembra che gli altri discepoli di Giovanni Battista, lì per lì, durante la vita pubblica di Gesù, non abbiano seguito Gesù, e sappiamo per certo dai Vangeli che Giovanni non fosse per nulla geloso tanto da trattenerli, anzi (per es. Gv3,25-30)! Di fatto i Vangeli non ci parlano di altri discepoli di Giovanni passati a Gesù, e noi non sappiamo altro. Fare ipotesi o illazioni non serve. Concentriamoci allora su quei due ai quali Giovanni ha indicato Gesù come Agnello di Dio e lo hanno seguito, e sul terzo, Simon Pietro, chiamato da Andrea, suo fratello. I primi due discepoli sono un regalo del Battista. Del precursore, di colui che era stato mandato avanti a Gesù per prepararGli la strada. E tra le tante aspettative che i discepoli di Giovanni avevano, una era certamente questa: Gesù era stato indicato come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E dunque, seguendolo, sapevano che il “lavoro” che avrebbe impegnato quel Gesù lì, indicato come Agnello di Dio, avrebbe dovuto togliere il peccato. Quel Gesù, che è il Messia, deve togliere i peccati del mondo.
Non solo quello, certo, ma il peccato degli uomini è una delle caratteristiche radicali della missione di Gesù. Dunque: con il Vangelo di oggi siamo messi una volta ancora, una volta di più, dietro i Suoi passi mentre incomincia a predicare, a insegnare un tipo di vita un po’ particolare, anche se molto semplice, a vivere una vita particolare con i suoi discepoli, a compiere miracoli. Due le “cose” sulle quali mi soffermerei. La prima: di tutto quello che sappiamo di Gesù, che posto tiene nella nostra mente, nella nostra memoria, nel nostro cuore il fatto che è venuto a togliere il peccato, a combatterlo? È venuto per far cambiar vita, non soltanto per dire che bisogna cambiar vita. La seconda: questi primissimi discepoli sono un regalo “dell’amico all’amico appena scoperto”. Noi, tra amici, che regali ci facciamo? E poi, che cosa regaliamo ogni giorno a Gesù nella nostra semplice vita quotidiana? Vi aggiungo qualcosa, che sa più di meditazione personale anziché di spiegazione ulteriore. Mi soffermo su alcune provocazioni che sollecitano le espressioni “Maestro, dove abiti? Venite a vedere”, “discepoli”, “maestro/rabbì”.
Il mondo è pieno di discepoli e di maestri, e lo è sempre stato, tanto che una possibilità di definire gli uomini di ogni tempo è proprio la loro divisione in due categorie: “maestri/discepoli”. Possiamo dividere tutti gli uomini di ogni tempo in categorie che includono tutti, tipo quelle di “padroni/schiavi”, “governatori/sudditi”, “genitori/figli”, e così via: sono dati di fatto, e negarlo sarebbe non vivere nella realtà. Quella di “maestri/discepoli” è certamente una di quelle categorie ... “eterne”. Perché tutti cresciamo imparando qualcosa da qualcuno, tutti veniamo sottoposti volenti o nolenti a qualche maestro; tutti ci cerchiamo spesso maestri, e tutti, senza accorgercene magari, cerchiamo discepoli. Dunque: Gesù è chiamato maestro, e viene seguito da discepoli, e Lui stesso si fa discepoli. Che maestro è, e che discepoli vuole? Cosa insegna? Come insegna? Quali i risultati? Non è una domanda di poco conto, dato che Lui stesso disse “non fatevi chiamare da nessuno ‘maestro’, perché uno solo è il vostro maestro, cioè il Cristo”, cioè Lui stesso. Noi che leggiamo il Vangelo, per intero o a spizzichi e bocconi ... oggi, proprio oggi: ci riconosciamo bisognosi di un maestro e bisognosi di essere discepoli? Quei discepoli là, i Suoi di quella volta, o Lo cercarono loro stessi o furono chiamati da Lui. Perché? Di che cosa avevano bisogno, di che cosa sentivano bisogno ... ? Che ‘cosa’ voleva Lui da loro? E poi, dopo la Risurrezione e Ascensione al Cielo, dopo la Pentecoste, come è finita la storia di quei discepoli? Hanno mantenuto il Suo insegnamento, o lo hanno ritenuto passibile di miglioramenti, di cambiamenti? Certo hanno dovuto inventare linguaggi in altre lingue per trasmetterlo, ma cos’hanno pensato e fatto del Suo insegnamento?
Io credo che dobbiamo interrogarci sul nostro desiderio o meno di avere maestri, sul nostro bisogno o meno di averli. Non è una questione astrusa e astratta, propria di chi non c’ha nulla da fare durante la giornata. È faccenda talmente pratica che indirizza la vita in una maniera o in un’altra, e che dice, tra l’altro, se c’è umiltà o superbia. Anche perché, senza accorgersene, ognuno si fa dei maestri, se li cerca, o si fa maestro di se stesso. Ci sono maestri falsi, pericolosi, confusi; ci sono discepoli che in verità vogliono fare da maestri; ci sono discepoli che cercano e non trovano ... ci sono maestri veri e discepoli veri.
Di certo, l’unica cosa che va cercata è la verità, la “realtà vera” ... Questo era l’ardire di Gesù, che si è posto come maestro e verità, e strada per essere veri, e – sotto questo aspetto – non pare che abbia lasciato che ognuno pensasse quel che voleva, o che considerasse il Suo insegnamento uno tra tanti, e nemmeno uno tra tanti il Suo modo di vivere. Eppure oggi sembra che l’unica verità – che per ciò stesso non è verità – sia che ognuno deve decidere da sé cosa sia vero e giusto. Non mostra questa convinzione Gesù, per nulla. Certo, coloro che poi Lui elegge come maestri affinché continuino il Suo lavoro, devono porsi sempre la domanda se rimangono maestri veri del Maestro vero, della “realtà vera”. Sembra che oggi questo soffra molta confusione. Sulla stessa linea: credo che tutti noi siamo contenti di sapere dove abita qualcuno con cui ci troviamo bene o con cui abbiamo rapporti di lavoro. “Quei due là” e poi anche gli altri loro compagni, chiesero a Gesù: “dove abiti? Possiamo venire a trovarti?”. Qualcuno gli chiese di averlo come ospite. Qualcuno lo ebbe ospite abituale. Noi, ... che ospiti siamo, sia quando ospitiamo qualcuno presso di noi (ospiti ospitanti), sia quando andiamo presso altri (ospiti ospitati)? Perché intessiamo rapporti di amicizia?
Per carità!: non mi riferisco qui, parlando dell’ospitalità, al problema della migrazione attuale, al problema profughi/esuli/esodati: assolutamente no. Mi riferisco ai rapporti normali tra di noi: perché ci ospitiamo tra noi? Quali case scegliamo e perché? Che cosa ci interessa quando ospitiamo o andiamo ospiti presso qualcuno? La faccenda dell’ospitalità tra cristiani era parecchio seria, in antico. Anche perché l’ospitalità è sempre stata una “faccenda seria” presso ogni cultura, e pertanto lo era anche per i cristiani, tanto da diventare agli occhi di tutti i non cristiani un qualcosa che faceva la differenza (pensiamo soltanto al pranzare/cenare presso qualcuno ...). Un altro modo di affrontare la questione, può anche essere questo: perché qualcuno desidera venire da me, a casa mia? Oppure, perché qualcuno non desidera venire per nulla da me?
Io credo – e si capirà bene che sono un po’ preoccupato del sistema di vita di oggi, delle varie faccende di oggi nei dettagli più vari di ogni famiglia e di ogni persona ... e di me stesso certamente – ... Io credo che la faccenda discepolo/maestro, o dell’andare a casa di qualcuno per imparare qualcosa da qualcuno o condividere almeno un po’ o del tutto la sua vita, sia qualcosa che dica molto, o forse tutto. Che dica, tra l’altro, il termometro della nostra fede, della nostra umiltà, delle nostre certezze, di quale Gesù veramente oggi parliamo.
E non è da dire che bisogna solo essere seriosi, corrugati nella fronte: Gesù sapeva certamente scherzare, sorridere e ridere ... Come scherzava, e rideva ... E che ‘cosa’ cercava nelle case di chi lo ospitava, o che ‘cosa’ ci portava, e ‘cosa’ ne portava via? E perché ci tornava ogni volta che poteva (vedi da Marta, Lazzaro e Maria)? Non credete che potrebbe essere interessante leggere i Vangeli alla luce di Gesù ospite ospitante e ospitato ... ? Vi benedico con affetto.

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