DA TRENTO E BOLZANO CURON E GAIA DUE NOVITA' VINCITRICI DI FRINGE, PRIMA EDIZIONE DEL CONCORSO VOLTO A VALORIZZARE I TALENTI DELL'EUREGIO

Due opere contemporanee, in prima assoluta a Bolzano e a Trento, due progetti che scandagliano i rapporti tra uomo e natura, spesso conflittuali, e si sono aggiudicati la prima edizione di OPER.A 20.21 FRINGE, l’iniziativa della Fondazione Haydn volta a valorizzare i talenti artistici dell’Euregio, ossia Tirolo, Alto Adige e Trentino. E’ il fiore all’occhiello della terza edizione di OPER.A 20.21, la stagione d’opera contemporanea della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento che quest’anno ha per titolo Escape From Reality e terminerà ad aprile nel nome di Verdi con la sempiterna Traviata. Al bando di OPER.A 20.21 FRINGE, iniziativa che l’estate prossima annuncerà la sua seconda edizione e avrà un doppio, sotto altra formula, nella programmazione dello Sferisterio di Macerata, hanno aderito oltre quaranta gruppi o singoli artisti. I due progetti vincitori sono stati selezionati da una giuria composita, presieduta da Eva Kleinitz dell’Opéra National du Rhin di Strasburgo e formata da Giorgio Battistelli, Hannah Crepaz, Barbara Minghetti, Axel Renner e Luca Veggetti.
A Bolzano, al Teatro Studio del Teatro Comunale, è stata tenuta a battesimo Gaia, di Hannes Kerschbaumer: un’opera che racconta le vicissitudini di un’astronauta che al suo rientro sulla madre terra la trova trasformata in un deserto. Una riflessione, spesso ardua da seguire, sui disastri causati dall’uomo e sul futuro della sua stessa esistenza. Una riflessione che si rispecchia in quella raccontata in modo più comunicativo da Curon/Graun del gruppo Office for a Human Theatre di Rovereto che rievocando un fatto storico, buon successo ha ottenuto alla sua prima al Teatro Sociale di Trento. Attraverso le immagini del campanile di Sant’Anna che emerge dall’acqua, unica testimonianza rimasta del paesino di Curon, in tedesco Graun, nel cuore della Val Venosta, spazzato via per far posto a un bacino artificiale, la video-performance illuminata dalle musiche di Arvo Pärt, rievoca l’odissea delle popolazioni che, per far spazio al progresso, furono costrette ad abbandonare la propria terra.
Storia di un villaggio affogato è il sottotitolo dello spettacolo-installazione che rievoca la costruzione della grande diga che nel 1950 unificò il lago di Resia e quello di Mezzo sommergendo cinquecento ventitré ettari di terreno coltivato e cento sessantatré case dell'antico abitato di Curon cambiando i connotati di quel territorio montano. Inutili le proteste della popolazione, rappresentata in sala la sera della prima da un anziano signore in lacrime, che si oppose fermamente alla costruzione della diga e alla conseguente distruzione del paese: non servì a nulla neanche l’appello rivolto a Papa Pio XII. Del villaggio di Curon non è rimasto più niente, ad eccezione della parte superiore del campanile della chiesa di Sant’Anna, che spunta dall’acqua come se fosse una scultura surreale, muto ammonimento che simili tragedie deliberatamente volute dall’uomo non abbiano più a ripetersi. In Curon / Graun non ci sono parole: è l’intreccio fra le immagini del campanile e la musica dell’estone Arvo Pärt a raccontare la vicenda e a evocarne la drammaticità. Le composizioni eseguite da elementi dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Stefano Ferrario, sono due ed entrambe fra le più conosciute di Pärt: Fratres nelle tre versioni per quartetto d’archi, per archi e percussione, per violino, archi e percussione e lo struggente Cantus in memory of Benjamin Britten, in cui è fondante il suono del rintocco di una campana che simboleggia quello della chiesa di Sant’Anna.
Alla base di Curon / Graun c’è proprio il suono delle campane e la loro forza spirituale, il palcoscenico, nudo, diventa una vera e propria metafora dello stile Tintinnabuli di Arvo Pärt. Alle spalle dell’orchestra uno schermo su cui sono proiettate le parole e le immagini del testo in cui è raccontata l’evacuazione coatta del piccolo paese che diventa – secondo gli autori - l’espediente per riavvicinare il teatro alla sua radice più profonda, quella di comunicare attraverso l’immobilità e il silenzio. L’idea, ardita e solo in parte riuscita, è di Filippo Andreatta e Paola Villani che firmano regie e scene della performance con i contributi di William Trentini per le luci, Armin Ferrari per il video e la regia del suono e del video di Federico Campana. Il progetto è di Office for a Human Theatre OHT un gruppo di artisti che indaga la realtà e la sua rappresentazione senza vincoli formali, disciplinari ed emotivi ed è stato fondato da Filippo Andreatta nel 2008. La sera successiva eccoci confrontati con la vicenda inquietante attorno alla quale ruota Gaia di Hannes Kerschbaumer, su libretto di Gina Mattiello, e alle sue tinte surreali: un’astronave è lanciata in orbita verso un pianeta lontano, ma per cause misteriose, dopo secoli, cade frantumandosi proprio sulla terra. Unica sopravvissuta è un’astronauta-performer che, ritrovandosi sul pianeta trasformato in un deserto, s’imbatte in sculture carbonizzate, opera di Aron Demetz, che rappresentano frammenti di ricordi umani.
Tra l’astronauta, unico essere vivente rimasto, e le sculture s’instaura, sorprendentemente, un dialogo, preludio a qualcosa di nuovo. Musicalmente Gaia nasce, come altri lavori di Kerschbaumer, dall’incontro fra sonorità acustiche ed elettroniche e dall’interazione fra la voce, registrata o amplificata, che rappresenta l’unico elemento umano in palcoscenico, e gli strumenti dell’orchestra, che disegnano un paesaggio sonoro oscuro, quasi apocalittico. Se il testo di Gina Mattiello, responsabile con il musicista anche della regia dello spettacolo e a sua volta in scena come performer nei panni dell’astronauta inquieta, è ostico, non meno ostica è la musica di Kerschbaumer, nato a Bressanone nel 1981, recentemente insignito anche del premio Nuova musica della Fondazione Amici della Fenice di Venezia. Un musicista che ha studiato composizione con Gerd Kühr, Pierluigi Billone, Beat Furrer e Georg Friedrich Haas e indaga indefessamente sulle contaminazioni tra musica strumentale ed elettronica cercando in quest’ultima sonorità e un’acustica che assomiglino alla prima.
La locandina della serata bolzanina annoverava scene e costumi di Natascha Maraval, la coreografia di Hygin Delimat chiamato anche a contorsionismi sotto forma danzata che facevano da cornice alla monotonia della recitazione, la regia del suono e video Federico Campana. Anche in questo caso, alle spalle della scarna scenografia era l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Leonhard Garms a incaricarsi della novità che, la sera in cui abbiamo assistito alla performance, il pubblico ha festeggiato. Difficile trarre conclusioni dopo questa prima edizione di Fringe. I due lavori presentati erano troppo diversi tra loro: una cosa però avevano in comune, la brevità e la scarsa fiducia dei nuovi autori nel fascino comunicativo del teatro musicale. Foto: Michele Purin Info: www.fondazioneteatro.bolzano.it/organizer/haydn di Rino Alessi 26 febbraio 2018 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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