A PROPOSITO DEI DIALOGHI DELLE CARMELITANE E DI POULENC DI CUI SONO TORNATO A OCCUPARMI IERI

La passione e il martirio delle carmelitane raccontate da Georges Bernanos in un dramma da cui Francis Poulenc trasse il suo capolavoro di teatro musicale, continuano a essere d’attualità. Da poco superato il centenario della nascita del loro autore, il 1999 che in Francia era stato ribattezzato l'année des dialogues, è ritornato, di recente sulle scene di Parigi e Bruxelles e, nella stessa messinscena, ha fatto il suo debutto al Comunale di Bologna. Les dialogues des carmélites (I dialoghi delle carmelitane), il lavoro drammatico certamente più ambizioso e complesso se non il più originale di Francis Poulenc fu rappresentato per la prima volta alla Scala il 26 gennaio del 1957, e mette in musica uno dei testi più diffusi e amati del teatro del Novecento, a sua volta ispirato alla novella di Gertrud von Le Fort Die letzte am Schafott (L'ultima al patibolo). I dialoghi delle carmelitane non sono mai usciti dal repertorio dei grandi teatri d'opera, fatto abbastanza singolare, per non dire eccezionale, per un lavoro che ha visto la luce nella seconda metà del Novecento. “Sfortunatamente non ho mai incontrato Bernanos” scriveva al critico Claude Rostand, Poulenc il 16 ottobre 1961 in una delle sue numerose lettere “ma il fatto di aver messo in musica I dialoghi delle carmelitane mi dà l'impressione di averlo conosciuto bene. In effetti, scrivendo la mia opera mi sono talmente compenetrato in questo testo mirabile, da farlo quasi diventare mio per quel fenomeno di osmosi che si viene a creare in ogni collaborazione che viene dal cuore.
Non è stata tanto la storia vera delle carmelitane, fatto in ogni caso che desta profonda emozione, a farmi decidere di affrontare quest'opera, quanto la prosa, magnifica, di Bernanos con la sua spiritualità e gravità. Ecco perché è stato del tutto naturale iniziare il mio lavoro dal dialogo fra Madame de Croissy e Blanche, nel primo atto. Ciò che, a mio avviso, in esso conta quanto “la paura di Blanche” è l'idea, così tipica di Bernanos, della comunione dei santi e della proprietà transitiva della grazia. E' per questo motivo che ho cercato di rendere quanto più mi era possibile, “esplicita” la scena in cui Constance, quest’adorabile soubrette di Dio, spiega che: “non si muore ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri, o magari gli uni al posto degli altri”. Georges Bernanos (1888-1948), l'autore francese di romanzi celeberrimi come il Diario di un parroco di campagna e Sotto il sole di Satana, scrisse in forma drammatica soltanto I dialoghi delle carmelitane, rappresentati postumi nel 1949. Ispirati al tema principale di tutta la sua produzione, quello della ricerca della santità, i Dialoghi sono soprattutto una confessione, lirica e appassionata, di fronte al dramma della morte. Alla base della pièce c'è, però, non solo la novella della von Le Fort, ma la grande storia, quella con l’esse maiuscola: le sedici martiri di Compiègne, ghigliottinate a Parigi il 17 luglio 1794 in piena rivoluzione, “per il loro attaccamento a credenze puerili e le loro sciocche pratiche religiose”, salendo al patibolo una a una rinnovarono i voti battesimali e religiosi, chiesero alla Priora di benedirle e di lasciarle morire, cantarono il Te Deum e il Veni Creator. Del fatto fu relatrice e biografa una loro consorella, Mère Marie de l'Incarnation, al secolo Françoise Genéviève Philippe, forse di sangue reale, che era a Parigi quando le suore furono arrestate e morì nel convento del Carmelo di Sens nel 1836.
Gertrude von Le Fort (1876-1971), la scrittrice tedesca di origine francese operò, del fatto storico, una trasfigurazione narrativa che è la novella L'ultima al patibolo (1931). Alla più giovane delle martiri, Soeur Constance, al secolo Marie Genéviève Meunier, che si rifiutò di uscire dal Carmelo quando, non avendo ancora pronunciato i voti, un fratello venne a pregarla di fare ritorno a casa, la von Le Fort diede alcuni tratti di due personaggi della novella: Blanche de la Force, protagonista poi anche dell'opera di Bernanos e Poulenc, e Soeur Constance de Saint-Denis che diventerà la deliziosa “soubrette di Dio” di cui il musicista parigino si diceva innamorato. Nel 1948, poco prima di morire, Georges Bernanos intervenne quindi sul testo tedesco della von Le Fort, in origine per un film che sarà realizzato soltanto nel 1959 - protagoniste Alida Valli e Jeanne Moreau - e il cui “trattamento” gli era stato proposto dai due autori Philippe Agostini e il Reverendo Raymond-Léopold Bruckberger. Ma già prima del film I dialoghi delle carmelitane vissero, e tuttora vivono - non molti anni addietro Luca Ronconi ne realizzò un'edizione in prosa memorabile - una felice vita di palcoscenico. Georges Bernanos li scrisse fra urgenza autobiografica e paura, uno dei grandi temi del dramma, e li proiettò su un altro piano storico. Il 1948 è l'anno in cui, conclusosi drammaticamente il secondo conflitto mondiale, inizia la guerra fredda: “l'Occidente cristiano è preso d'assalto da nuovi rivoluzionari che professano, in quegli anni, l'ateismo dei regimi dell'Est.”. (G.A. Piovano.) Paradossalmente a mettere in musica un testo così denso di significati religiosi e profondi è uno dei compositori più ironici e lievi del nostro Novecento musicale, Francis Poulenc, figlio di un industriale farmaceutico (“le petit Poulenc fils-à-papa” lo chiamava Erik Satie) e di una pianista en amateur.
Musicista per diletto suona il pianoforte con grande charme, ma non ha mai frequentato un Conservatorio, compagno per un certo periodo nel celebre Gruppo dei Sei di Honegger, Milhaud, Durey, Auric e di Germaine Tailleferre, è compositore dalla facile vena lirica spesso tacciato di superficialità per essere rimasto estraneo alla contemporanea ricerca linguistica delle avanguardie, puntando piuttosto al gusto dello scherzo e dello svagato umorismo quando affronta soggetti di carattere profano, o alla malinconia quando, come spesso gli accade, compone musica di argomento religioso. Risale al 1944 il suo primo lavoro teatrale, l'opera buffa Le mamelles de Tirésias (Le mammelle di Tiresia) in cui Poulenc mette in musica un testo di Gustave Apollinaire, opera giudicata al suo apparire, e anche di recente nel corso di una delle sporadiche riprese al Festival dei Due Mondi di Spoleto, realmente importante. Nelle Mamelles Poulenc segue la sua naturale inclinazione, che lo spinge a stordirsi, a meravigliarsi, cedendo alla magia delle filastrocche e delle tiritere popolari, innamorato - è opinione di Roland-Manuel - di quell'universo scandaloso e magico, nel quale ritrova, con Rimbaud: “La letteratura non più di moda, i libri erotici senza ortografia, i romanzi dei nostri nonni, i racconti di fate, i piccoli libri dell'infanzia, le vecchie opere, i ritornelli sciocchi, i ritmi ingenui”. Al teatro, dopo i Dialoghi delle carmelitane che gli furono commissionati da casa Ricordi, Poulenc tornerà soltanto per mettere in musica nel 1959 un celebre monologo al femminile di Jean Cocteau, La voix humaine (La voce umana), da sempre cavallo di battaglia di ogni primadonna sul viale del tramonto. Tre sole opere in pochi anni, una buffa, quasi un'operetta, una drammatica, quasi un oratorio, una sentimentale, una vera e propria tragedia della solitudine: è il trionfo dell'eclettismo non c'è che dire. I dialoghi delle carmelitane, dunque. Nel 1953 la Scala chiese a Francis Poulenc di scrivere un balletto. Il musicista parigino pensò a un soggetto su Santa Margherita da Cortona, che però stentava a venire alla luce. Di passaggio a Milano per una serie di concerti, fece presenti i suoi dubbi a casa Ricordi controproponendo un'opera lirica. Fu l'editore a lanciare l'idea di mettere in musica I dialoghi delle carmelitane.
Scrive Poulenc: “Conoscevo il lavoro di Bernanos, l'avevo letto e riletto, oltre che visto rappresentato due volte, ma non mi sfiorava nemmeno l'idea che le sue parole potessero avere un loro ritmo. Ero deciso a esaminare la questione al mio ritorno a Parigi, quando due giorni dopo, giusto al centro della vetrina di una libreria di Roma, scoprii i Dialoghi. Pareva che mi stessero aspettando... Acquistai il libro deciso a rileggerlo. Per farlo in santa pace mi accomodai sulla terrazza del caffè Tre scalini a Piazza Navona. Erano le dieci del mattino. A mezzogiorno ero ancora lì, avevo ordinato un caffè, poi un gelato, poi una spremuta d'arancio, poi una bottiglia d'acqua di Fiuggi per giustificare la mia permanenza. A mezzogiorno e mezzo ero al colmo dell'entusiasmo. Mi restava da fare una prova, quella decisiva, avrei trovato la musica per un testo così impegnativo?”. La musica fu trovata, meglio fu scritta fra l'agosto del 1953 e il settembre del 1955. Nel giugno del 1956 l'opera era completamente orchestrata. Fu un lavoro indefesso che assorbì completamente Poulenc. La sera del 26 gennaio 1957 il pubblico milanese accoglieva trionfalmente I dialoghi delle carmelitane in una serata di grande mondanità. La Scala aveva fatto le cose in grande affidandone la guida musicale a un esperto conoscitore della musica del Novecento quale Nino Sanzogno, Margherita Wallmann firmava la regia dello spettacolo, le scene erano opera di Georges Wakhevich, nella compagnia erano radunate Virginia Zeani (Blanche de la Force), Gianna Pederzini (Madame de Croissy), la debuttante Leyla Gencer (Madame Lidoine), Gigliola Frazzoni (Mère Marie), Eugenia Ratti (Soeur Constance). Per precisa volontà dell'autore l'opera fu rappresentata in italiano, nella versione di Flavio Testi, così come in inglese sarà cantata alla San Francisco Opera dove nel 1957 ebbe luogo la prima rappresentazione americana (direttore Erich Leinsdorf, Leontyne Price in Lidoine) e al Covent Garden per la prima londinese (1958, direttore Rafael Kubelik, Joan Sutherland al debutto in Lidoine). In tedesco l'opera sarà rappresentata nel 1959 alla Staatsoper di Vienna, direttore Heinrich Hollreiser, nel cast Irmgard Seefried, Blanche, Elisabeth Höngen, Madame de Croissy, Hilde Zadek, Madame Lidoine, Christel Goltz, Mère Marie, e Anneliese Rothenberger, Constance.
Dopo la prima scaligera non mancarono accuse di mancanza di epicità e in effetti, l'orchestrazione dell'opera è di un’assoluta sobrietà: “Monteverdi, Verdi e Musorgskij sono stati i miei maestri” ebbe a dire a proposito dei suoi Dialoghi Poulenc. Nel senso che era stato il loro spirito, la loro essenzialità di mezzi espressivi a guidarlo, non certo la loro musica. Del resto, la magniloquenza non è nella natura di Poulenc: mai e poi mai il musicista parigino avrebbe potuto creare un'operona d'ambiente rivoluzionario, ma di spirito reazionario, come l'Andrea Chénier di Giordano. Né era nella sua natura creare un lavoro di difficile leggibilità: il linguaggio di Poulenc è di una chiarezza adamantina. I dialoghi sono un'opera assolutamente tonale e non rifiutano consonanza alcuna: è anche questo, alla fine, un motivo del loro durevole successo. Tutto in essi è al servizio dell'azione che nei suoi complessivi tre atti e dodici quadri, si dipana seguendo i ritmi lenti della vita monastica. Anche i silenzi hanno un peso notevole nell'economia di un lavoro che non a caso si è spesso voluto accostare al Pelléas et Mélisande di Claude Debussy. Più che seguire passo passo l'evolversi drammatico e musicale della vicenda ci preme qui metterne a fuoco i momenti, a nostro avviso, più significativi. Ogni scena, del resto, a volte lunga, a volte di una fulminea brevità, ha una sua autonomia. Già la prima - siamo nell'aprile del 1789, nella biblioteca della residenza parigina del marchese de la Force - si segnala per essere l'unica in tutta l'opera a presentare due voci virili: il marchese de la Force, baritono e il cavaliere suo figlio, tenore. Fin da principio siamo immersi in un'atmosfera d’inquietudine, di angoscia diffusa e misteriosa, di vero e proprio malessere che sono la sigla di Blanche de la Force, figlia e sorella dei due uomini e protagonista dell'opera. Pur essendo infatti un lavoro sostanzialmente corale, I dialoghi delle carmelitane hanno nella giovane Blanche de la Force la loro protagonista. (Jean de Solliers) Blanche (“mon petit lièvre”, il mio leprottino, la definisce affettuosamente il fratello), è, a dispetto del nome, tutt'altro che una donna forte. Il cavaliere, preoccupato per le manifestazioni popolari di piazza di cui ha avuto notizia, la viene a cercare negli appartamenti del padre, che stava schiacciando un pisolino fra i suoi libri. Sentir parlare di tumulti porta il marchese a rievocare le circostanze drammatiche in cui Blanche venne al mondo, e che in qualche modo ne spiegano la paura di vivere.
Era la sera della festa per il matrimonio del futuro re Luigi XVI con Maria Antonietta, in piazza si venne a creare un incendio, presa dal panico, la folla prese d'assalto la carrozza in cui il marchese si trovava con sua moglie. Al loro rientro la donna mette al mondo Blanche, ma non sopravvive al parto. E' il tema della paura, con i suoi accordi strappati, a dominare questa prima scena dell'opera che Blanche termina annunciando al padre di voler pronunciare i voti nell'Andantino “Mon père, il n'est pas d'incident si négligeable...”, Padre mio, non c'è incidente, per trascurabile che sia… In questa e in altre circostanza il suo canto - il ruolo di Blanche fu creato per Denise Duval, protagonista della prima parigina dell'opera nel giugno del 1957 e soprano lirico puro - è di uno straordinario lirismo, la voce gravita nel registro centrale del soprano per innalzarsi d'improvviso al La acuto quasi a sottolineare le parole chiave della sua risoluzione: “j'ai décidé d'entrer au Carmel”, ho deciso di entrare al Carmelo. Dell'incontro fra Blanche e Madame de Croissy, la Vecchia Priora - scena seconda del primo atto, il parlatorio del Carmelo di Compiègne - abbiamo fatto già cenno. E' un colloquio che ci presenta il personaggio chiave dell'opera, la Vecchia Priora, donna di origini aristocratiche e grande preparazione culturale ormai stanca e malata.
Spetta a lei esaminare la bontà delle intenzioni di Blanche e lo fa quasi con spietatezza: “Notre Règle n'est pas un refuge. C'est ne pas la Règle qui nous garde, ma fille, c'est nous qui gardons la Règle”, la nostra Regola non è un rifugio. Non è la Regola a custodir noi, figlia mia, siamo noi che custodiamo la Regola. Fra le due donne si instaura, di primo acchito, una sorta di complicità che verrà suggellata nel momento in cui Blanche comunica alla Priora il nome da carmelitana che vorrebbe scegliere, Soeur Blanche de l'Agonie du Christ, lo stesso che Madame de Croissy aveva voluto per sé, ma del quale non si era sentita degna. Ritroviamo Blanche novizia nella scena successiva, a confronto con la giovanissima Soeur Constance de Saint Denis, soprano leggero, personaggio meraviglioso, superficiale - un po' come Poulenc - e al tempo stesso profondo. Constance viene da una famiglia di contadini, è una ragazza semplice ed estroversa, quanto Blanche è difficile e contorta. Nasce un'amicizia che ha anche momenti di tensione. Ma il carattere solare di Constance stempera tutto nella frase rasserenante, “très poignant et doux”, con molto sentimento e dolce, che termina la scena: “J'étais bien loin de vouloir vous offenser...”, ero così lontana dal volervi offendere. Con un ostico salto d'ottava la voce sale in pianissimo dal Fa centrale al Fa sul quinto rigo mentre in orchestra risuona il cosiddetto tema della speranza. Se il dialogo fra Blanche e Constance ha il carattere dello Scherzo di una composizione da camera, quello successivo tra la Vecchia Priora (contralto) e Mère Marie de l'Incarnation (soprano drammatico o mezzosoprano) è il colloquio più forte di tutta l'opera. La Vecchia Priora è agonizzante, e negli ultimi attimi di lucidità della propria vita affida alla Vice la giovane de la Force. Poi inizia il delirio, una sorta di lucida follia in cui la donna deve ammettere che, dopo aver impiegato un'esistenza intera per accettare cristianamente e accogliere con gioia l'incontro con la morte, non può non cedere alla paura. Inutilmente la Vice Priora, carattere duro come l'acciaio, la richiama all'ordine: la morte di Madame de Croissy non avrà nulla di eroico. Era ciò che voleva dire, inconsapevolmente, la giovane Constance: spegnendosi in modo così poco glorioso, la Priora ha fatto sua la morte riservata a Blanche.
A Blanche spetterà invece l'onore cristiano del martirio, sarà lei l'ultima al patibolo. E' una scena, questa, di grande effetto, un vero e proprio tour de force per l'interprete della Vecchia Priora. Ma non mancano, nei Dialoghi delle carmelitane, parti più squisitamente liriche e meno irradiate dalla luce della fede come quelle che descrivono la tenerezza del rapporto fra Blanche e il fratello cavaliere - scena terza dell'atto secondo -, in cui Blanche rifiuta l'invito di tornare a casa. Poulenc, da grande uomo di teatro, capisce che alla sua opera manca un duetto d’amore e, per l’occasione, ne scrive uno, inedito, di amore fraterno. Certo è però la preghiera, e in particolar modo la preghiera corale, l’espressione musicale che più si confà a quest'opera e che più la caratterizza. Della preghiera come primo dovere di una carmelitana si fa promotrice Madame Lidoine, la Nuova Priora, una donna di estrazione borghese che ci è presentata nella scena seconda del secondo atto quasi ex abrupto, quando ormai tutti avremmo pensato che a succedere a Madame de Croissy sarebbe stata Mère Marie de l'Incarnation. Lidoine esprime concetti anche terra terra: “Che cosa vorrà l'epoca cui andiamo incontro, io non lo so” dice nel suo discorsetto di presentazione: “Dalla Divina Provvidenza aspetto soltanto le modeste virtù che i ricchi e i potenti disprezzano volentieri: la buona volontà, la pazienza, lo spirito di conciliazione.”. Il suo canto è in un certo qual senso manierato e particolarmente sfogato in acuto: non a caso questo ruolo, forse meno appariscente di altri nell'opera, è sempre stato affidato ad artiste dalla vocalità fuori del comune. A Lidoine spetterà soprattutto il compito di assumere su di sé il voto del martirio fatto in sua assenza dalle consorelle facendolo proprio e guidandole con fede adamantina al patibolo. E sempre a lei spetta una scena di grande impatto musicale, la terza dell'atto terzo, una cella della Conciergerie, dove le sorelle attendono la loro condanna. Qui il canto di Lidoine, il celebre “Mes filles, voilà que s'achève notre première nuit de prison”, Figliuole mie, ecco, finisce la nostra prima notte di prigione, si fa più partecipato e commosso specie quando si riferisce alla paura di morire, segno di umana fragilità, provata dal Cristo, Dio fattosi uomo, nel giardino del Getsemani.
Ma il momento più atteso dell'opera è il finale, con le povere suore spogliate dei loro abiti che salgono il patibolo cantando il Salve Regina. E' un coup de théâtre indimenticabile, uno dei grandi momenti del teatro musicale del Novecento. Le suore cantano e le loro voci s’interrompono una a una ogni volta che la lama della ghigliottina recide una delle loro teste. C’è chi, da musicologo, afferma che l’implacabile ghigliottina non andando a tempo con la musica, si fa odiare. Secondo noi ogni suo intervento è un brivido che ci corre nella schiena. Il Teatro Verdi di Trieste fu il secondo in Italia a presentare al suo pubblico I dialoghi delle carmelitane di Poulenc. Nel suo prezioso intervento contenuto nel volume Il Comunale di Trieste, Vito Levi ricorda che la regia dello spettacolo firmata allora dal giovanissimo Franco Enriquez “conferì sulla scena un ritmo interiore tragicamente solenne” a quest'opera dal ritmo solenne. A reggere il discorso musicale era l'esperto Oliviero De Fabritiis. In palcoscenico quattro eccellenti primedonne a fare da corona alla Vecchia Priora della grande Gianna Pederzini che già aveva affrontato questo ruolo alla Scala: la debuttante Nicoletta Panni (Blanche de la Force), Luciana Serafini (Madame Lidoine), Nora De Rosa (Mère Marie de l'Incarnation, la Vice Priora) ed Elda Ribetti (Soeur Constance de Saint-Denis). Accanto a loro il Marchese de la Force di Renato Cesari e il giovane Cavaliere di un altro quasi debuttante, Alfredo Kraus che nella stagione precedente si era presentato con successo al pubblico ne La vida breve di Manuel de Falla.
Il maestro Raffaello de Banfield, che in seguito del Teatro Verdi fu Direttore artistico, fu il trait d'union fra Parigi e Trieste per quella straordinaria prima esecuzione: “Poulenc dava il suo lavoro alla Scala ed io già mi occupavo, era davvero un piacere farlo, di informare l'allora Sovrintendente del Teatro Verdi Antonicelli che, a mio giudizio, sarebbe stato un grande successo. Antonicelli, che era un uomo molto informato, fu pronto ad accogliere il suggerimento e I Dialoghi furono rappresentati a Trieste a pochi mesi di distanza dalla prima scaligera e a pochissimi da quella parigina. Quello stesso anno l'Opéra di Parigi metteva in scena, su suggerimento di Poulenc, il mio balletto Le Combat. Parlando con Francis, che è stato uno dei miei migliori amici e che conobbi a Parigi in casa degli Auric, mi venne spontaneo dirgli, credo di aver servito la tua causa, Trieste darà I Dialoghi delle carmelitane.
Lui mi rispose: questo sì vuol dire aiutarsi fra amici e non entrare nella logica perversa dell'una mano lava l'altra.”. Nel 1957 il maestro de Banfield seguì tutte le prove dell'opera: “Mi colpì Kraus nel breve ruolo del Cavaliere e lo dissi ad Antonicelli. Poulenc ci raggiunse dopo la prima e fu molto contento della distribuzione. Ammirò soprattutto la Madame Lidoine di Luciana Serafini, un soprano che poi è sparito, ma che Francis preferì addirittura a Leyla Gencer che aveva avuto alla Scala... Quanto alla Pederzini cui mi legava una cordiale amicizia, il successo della prima alla Scala, arrivò dopo la scena della sua morte. Fu così anche a Trieste.”. Nelle foto: Poulenc e le sue interpreti alla Scala, Régine Crespin al Metropolitan nella scena della morte di Madame de Croissy, alcuni momenti degli spettacoli andati in scena a Bologna e a Maribor di Rino Alessi 24/05/2018 bellaunavitaallopera.blogspot.com

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