A PROPOSITO DI IL SASSO PAGANO, L'OPERA PIU' AMBIZIOSA DI GIULIO VIOZZI NELLA MIA CRONACA DEL 2004 DALLA SALA TRIPCOVICH DI TRIESTE
Nell’anno 2004 furono numerose, a Trieste, le manifestazioni volte a ricordare l'opera del musicista concittadino Giulio Viozzi (1912-1984), nel ventesimo anniversario della sua scomparsa. Una per tutte, la mostra promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune e realizzata dal Servizio Civici Musei di Storia e Arte al Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl in cui la figura del musicista e operatore culturale concittadino fu affettuosamente rievocata attraverso manoscritti musicali, fotografie, lettere, documenti con una particolare attenzione al variegato percorso compiuto nel teatro musicale: sei titoli editi più un inedito rappresentato postumo, compresi fra l'atto unico Allamistakeo (Bergamo, 1954), l'opera sua più nota, e la più complessa Elisabetta (Trieste, 1971) ispirata a Maupassant. L’inedito è la fiaba musicale L’Inverno tratta da una novella di Nilde Spazzali, un’opera breve, venticinque minuti di musica, rimasta inedita e dedicata nel 1977 all’amico e collega Nino Rota. L’inverno fu rappresentata la sera di Santo Stefano del 2012 dalla Camerata Strumentale diretta da Fabrizio Ficiur in uno dei suoi tradizionali appuntamenti postnatalizi alla Sala Tripcovich che per l’occasione fu interamente dedicato a musiche di Viozzi nel centenario della nascita. Massimo Favento ne curò una trascrizione per orchestra d’archi e fiati e incastonò i brani musicali in un testo che rappresentava lo stesso Viozzi in veste di narratore.
Fra Allamistakeo ed Elisabetta, Viozzi ebbe modo di vedere rappresentati, e sempre con grande successo di pubblico e di critica, altri due atti unici ovvero Un intermezzo notturno (Trieste, 1957) e La giacca dannata da un racconto di Dino Buzzati (Trieste, 1967), più il balletto Prove di scena (Milano, Scala, 1958) e l'opera sua più ambiziosa: Il sasso pagano.
Proprio la riproposta de Il sasso pagano è stata l'avvenimento maggiore fra le manifestazioni celebrative. Curata dall'"Associazione Triestina Amici della Lirica", oggi a lui intitolata, è stata realizzata in collaborazione con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e il Comune di Trieste, e ricalcava nelle sue grandi linee quelle già applaudite fra il luglio del 1999 e il novembre del 2000 a Terzo di Aquileia, Spilimbergo, Muggia e Gorizia, ed era organizzata in forma di concerto narrato, in altre parole con l'intervento di un recitante (l'attore-cantante Mario Pardini) a fare da raccordo fra le varie scene che compongono i tre atti del lavoro qui raggruppati in due parti.
Sul palcoscenico della Sala Tripcovich erano allineati l'orchestra dell'Opera Giocosa del Friuli-Venezia Giulia preparata e diretta da Severino Zannerini, i quattro cori, il Clara Schumann diretto da Chiara Moro, il Città di Trieste guidato da Leon Viola, quello di voci bianche Vesela Pomlad di Opicina preparato da Mira Fabjan e il Fran Venturini di Domio diretto da Susanna Zeriali, più i sei solisti, tutti in costume di scena.
L'opera - l'azione si svolge nella seconda metà dell'Ottocento nella Bassa Friulana - racconta una vicenda di miseria e superstizione e ripropone, nel testo dello stesso Viozzi con interventi poetici in lingua friulana della prima moglie del maestro Beatrice, quella raccontata da Otto von Leitgeb (1860-1951) nella novella Il nume abbandonato.
Rappresentata per la prima volta al Teatro Verdi di Trieste nel marzo del 1962 e poi riproposta a Palermo, a Catania e, nel dicembre del 1964, a Milano in forma di concerto nell'ambito della stagione lirica della Rai, Il sasso pagano fu accolto alla prima con un successo vivissimo: Franco Abbiati sul Corriere della sera riferì di non meno di venticinque chiamate complessive, Vittorio Tranquilli su Il Piccolo di Trieste parlò di “accoglienze di inusitato fervore e di schietta espansività”. Il successo non è mancato nemmeno in occasione della riproposta alla Sala Tripcovich cui ci riferiamo.
Lavoro, musicalmente, di impianto tradizionale Il sasso pagano mette in luce, e citiamo Vito Levi, “un'altra nota caratteristica del musicista, che diremo l'elemento nostrano. Poiché in Viozzi c'è anche una robusta vena di origine popolare, da lui coltivata solo marginalmente e del resto riespressa secondo un presupposto di modernità.” Ed è una vena, annota ancora Levi, che affonda le proprie radici nell'Ottocento triestino e da Sinico risale a Rota e a Illersberg. I momenti più emozionanti di questo Viozzi, che per la prima volta abbandona la misura a lui più consona dell'atto unico, sono gli interventi corali e più interessante si rivela, espressivamente, il linguaggio orchestrale di quello strettamente vocale che si risolve in un sillabato un po' ripetitivo. Il sasso pagano vede al centro della sua azione la figura, in qualche modo epica, del parroco di paese don Matteo (si difende con onore in un ruolo insidiosissimo creato per il grande Giuseppe Taddei, il baritono triestino Nicolò Ceriani cui Trieste, al solito madre matrigna, offre poche occasioni per mettere in luce il suo talento) vittima innocente di una pietra, il sasso pagano per l'appunto, che la gente del posto ha eletto a proprio simulacro.
L'opera è, in qualche modo, una sorta di delirio ossessivo del protagonista cui fanno da contrappunto, nella prima parte, gli inviti alla moderazione del Preposito di Gorizia (il basso Luca Tittoto, che ricordiamo nell'opera barocca e si è rivelato l'elemento più interessante del cast) e nella seconda gli interventi comici della perpetua credulona (Elena Boscarol, mezzosoprano) e del dottore (Roberto Miani, tenore) e quelli più lirici, e inconsistenti, della coppia di innamorati formata dalla nipote del prete (Monica Cesar, soprano) e dal suo fidanzato (Andrea Fusari, tenore).
Il pubblico si è fatto coinvolgere da una vicenda e da una teatralità che a Terzo di Aquileia avevano avuto modo di farsi meglio apprezzare, ha applaudito a scena aperta i tre cori che davano voce alla cristianità semplice e ingenua della gente friulana, ha mostrato di gradire tutti gli esecutori, anche quelli più volonterosi che efficaci, ha decretato un trionfo personale al maestro Zannerini. Che se lo meritava, non foss'altro per la sua dedizione a quest'opera.
11/03 Rino Alessi bellaunavitaallopera.blogspot.com
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