DEDICATO A BRISIGHELLA, DELIZIOSO BORGO DELLA ROMAGNA COLLINARE E AL SUO TEATRO INTITOLATO AL SOPRANO MARIA PEDRINI

L’idea di Romagna ha per me un significato di benessere. Ci si vive bene, la gente è accogliente, il cibo e i vini sono buoni, la natura offre panorami variati. Il mare non sarà il più bello dell’Adrtiatico, ma è quello, o per lo meno era quello più frequentato dal turista che arriva dal Nord. Mi è capitato di recente di ascoltare un’intervista televisiva a Jonas Kaufmann che ne magnificava i pregi. Fino a poco tempo fa non conoscevo Brisighella, in romagnolo Brisighëla, in provincia di Ravenna come Cervia da cui provengono i miei, che è un comune collinare di settemilacinquecento anime, a centoquindici metri sopra il livello del mare, nella bassa Valle del Lamone, alle pendici dell'Appennino tosco-romagnolo. Brisighella fa parte dei Borghi più belli d'Italia e si fregia della Bandiera arancione conferita dal Touring Club Italiano. La caratteristica precipua di questo simpatico borgo sono i tre pinnacoli rocciosi, ossia i Tre Colli, su cui poggiano quelle che i tedeschi, frequentatori assidui della terra di Romagna, chiamano le “Sehenswürdigkeiten”, potremmo tradurre i richiami turistici del posto: la rocca manfrediana del quattordicesimo secolo, il santuario del Monticino del diciottesimo, e la torre detta dell'Orologio, ricostruita nell'Ottocento sulle rovine di un preesistente insediamento difensivo del dodicesimo secolo.
Di Brisighella è simpatico anche il nome, anche se è difficile risalire al significato del suo toponimo che, pure, è stato oggetto di ricerche approfondite. L’ipotesi meno accreditata, lo fa derivare dal latino bràssica ossia cavolo, che farebbe di Brisighella la terra in cui si coltivano cavoli e ci riferiamo agli ortaggi, non alla parte del corpo di cui il cavolo è diventato il sostituto nell’italiano gergale. Più credibile è che Brisighella derivi dal romagnolo brisca, favo o vespaio, e che il nome la definisca quindi come zona dove si trovano alveari, o meglio con terreno poroso adatto ai vespai. L’ipotesi più accreditata, propone la derivazione del toponimo da un'altra voce dialettale, brìsul, briciola, piccola porzione di terreno coltivato, mentre non è troppo presa in considerazione quella che collega il nome Brisighella al celtico brix, luogo scosceso, la cui etimologia è la stessa della ben più imponente e popolosa Brescia. È ambientato all'interno della Rocca di Brisighella il drammatico finale del romanzo storico Il figlio del cardinale della scrittrice irlandese Ethel Lilian Voynich, la cui prima edizione inglese fu pubblicata nel 1897. Il romanzo è più o meno semisconosciuto in Italia ma ebbe enorme successo nel mondo comunista ai tempi della Guerra Fredda.
Risale proprio a quel periodo tormentato, il culmine della carriera di una figlia di Brisighella, cui il suo paese natale, ha dedicato l'antico teatro cittadino: Maria Pedrini ivi nata il 3 febbraio del 1910 e morta a Roma, dove per motivi di lavoro della famiglia si trasferì in giovane età, l’8 dicembre del 1981. Mi ha fatto impressione vedere quella data sulla targa che la ricorda all’esterno del teatro, per me l’8 dicembre è una data di nascita. A Roma le suore presso cui studiava proposero a Maria di dedicarsi al canto; la famiglia si oppose, avevano altro in mente per lei e poi, in famiglia c’era già stata una cantante più che famosa, la zia materna Adelina Patti, un soprano dalla vita disordinata, e noto per la sua straordinaria coloratura. Di lei si diceva che non piacesse a Verdi. Ascoltandola nel Rigoletto e richiesto di un giudizio, il Cigno di Busseto rispose, “Brava, ma chi ha scritto questa musica?” tali erano gli interventi virtuosistici che la Patti aggiungeva alle note scritte da Verdi. Maria Pedrini, in ogni caso fu ammessa al Conservatorio di Santa Cecilia nella classe di Edvige Ghibaudo, che la seguì con particolare dedizione. Conseguito il diploma nel 1931, esordì subito al Teatro Adriano in Roma come Elena nel Mefistofele di Boito.
Subito dopo uscì vincitrice di un concorso internazionale a Vienna, iniziando una carriera che la vide, quasi sempre da protagonista, in oltre duecento rappresentazioni, alcune in prima assoluta. Il maestro Tullio Serafin la volle al Teatro dell'Opera di Roma in Nabucco, in occasione della riapertura del Costanzi dopo la guerra. Prima e durante la guerra si svolse gran parte dell’attività professionale di Maria Pedrini che ebbe in repertorio titoli verdiani come Il Trovatore, La forza del destino, Ernani, Un ballo in maschera, Don Carlo, I vespri siciliani, Aida, ma anche Guglielmo Tell di Rossini, Poliuto di Donizetti, la Norma di Bellini, La Gioconda di Ponchielli, Turandot di Puccini. Nel 1953 fu protagonista della prima esecuzione di Medea di Pietro Canonica al Teatro dell’Opera di Roma dove fu molto attiva. Ebbe in repertorio anche la Cecilia di Licinio Refice. Anzi Cecilia è l’opera in cui raccolse idealmente il testimone da Claudia Muzio, della quale fu in diverse occasioni seconda. Nel febbraio del 1936 al Teatro Verdi di Trieste Maria Pedrini fu addirittura chiamata a sostituire la Divina Claudia nel suo personaggio più amato.
Diretta dall’Autore, che aveva immaginato Cecilia sulle straordinarie capacità espressive e interpretative della Muzio, la Pedrini cantò tre recite dell’opera accanto a Giuseppe Garutti e Mattia Sassanelli. In quella stessa stagione triestina Anny Helm Sbisà fu Turandot la sera dell’inaugurazione, Giannina Arangi Lombardi interpretò Aida accanto a Galliano Masini, Gilda Dalla Rizza Francesca da Rimini in coppia con Aureliano Pertile, Rose Pauly Elektra di Strauss e Gianna Pederzini Mignon di Thomas. Una stagione niente male… Ma per tornare a Cecilia, Claudia Muzio fu trovata morta il 24 maggio del 1936, pochi mesi dopo la mancata esibizione triestina, Aveva soltanto 47 anni. Fu trovata in una camera d’albergo a Roma, dopo un periodo di malattia. Si discusse molto delle possibili cause di quella morte solitaria, arrivando a ipotizzare che la Muzio si fosse suicidata. In realtà la Divina Claudia era da qualche tempo in cattive condizioni di salute e sempre più imminente appariva o l’abbandono delle scene, o un lungo periodo di riposo, tanto che Maria Pedrini le era stata posta accanto come riserva. Se la Muzio è entrata nel Mito, Maria Pedrini si è dovuta accontentare di una buona e abbastanza lunga carriera che si concluse nel 1957 con Aida alle Terme di Caracalla. Il disco ci restituisce la sua voce in Norma, con Gino Penno, Ebe Stignani e Giulio Neri, sotto la direzione di Francesco Molinari Pradelli (Napoli 1952), e nel Don Carlo, con Mirto Picchi, Nicola Rossi-Lemeni, Enzo Mascherini e Fedora Barbieri, sotto la direzione di Franco Capuana (Genova 1953). Brisighella le ha reso onore intitolandole un teatro che non ho potuto visitare essendoci passato davanti in un giorno di chiusura da corona-virus. Ma visitare questa simpatica località mi ha fatto venire la nostalgia di mio padre che amava tanto la Romagna dove riposa e che aveva, anche lui, una mamma cantante lirica, sia pure mancata. 6/03 di Rino Alessi bellaunavitaallopera.blogspot.com

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