TRADURRE "DIE REISEBILDER" DI HEINRICH HEINE: A PUNTATE ONLINE IL TESTO DELLA CONFERENZA CHE TENNI ALL'UNIVERSITA' SVIZZERA DI DORIGNY NEL 1996. LA DEDICO AL RICORDO DI MIO PADRE
Tradurre in italiano i “Reisebilder” di Heinrich Heine è stato un compito arduo e di grande responsabilità. Il primo problema che ho dovuto affrontare, avendo a che fare con un grande scrittore, uno dei capisaldi della letteratura tedesca di due secoli fa, un autore che, all’interno di questa stessa letteratura, segna il trapasso dal romanticismo al realismo, è stato quello della sua resa stilistica nella mia lingua madre, l’italiano. Da un lato c’era la tentazione di dare all’italiano in cui avrei tradotto i “Reisebilder” una certa patina ottocentesca, perché il tedesco di Heine, per quanto straordinariamente arguto, vivo e variegato, è pur sempre una lingua di un uomo geniale che scrive tra il 1826 e il 1831. E’ stata, però, una tentazione che dopo il colloquio preliminare con il direttore della collana dei “Classici classici” della Frassinelli, Aldo Busi, che mi ha commissionato il lavoro, ho subito represso.
La collana si prefigge, infatti, lo scopo di proporre al pubblico dei lettori di madrelingua italiana, centocinquanta classici stranieri tutti in traduzioni nuove e aggiornate, in una lingua viva, moderna, godibile in tutto il piacere – dice Busi – che dà la lettura quando è importante, quando ti entra dentro e ti scava. Del resto, come ancora osserva Busi che – forse non tutti sanno – ha una vasta e lunga esperienza di traduttore letterario alle spalle, nella traduzione di un classico la modernità sta nell’andare a cercare l’esattezza del testo originale in tutti i suoi registri di linguaggio, rispettando l’estetica dello scrittore fino al punto di tradurre nella nostra lingua il ritmo della sua. E mantenere in italiano la struttura macroscopica e, al suo interno, quella fine, le sfumature, le sottigliezze, le sfaccettature del testo tedesco, renderne il ritmo, la peculiarità delle immagini e, insomma, il sapore o profumo, o per lo meno tentare di crearne l’equivalente più degno, deve essere la massima aspirazione e la costante preoccupazione del traduttore letterario.
Non è lecito sovraimporre una scrittura propria a un prosatore come Heine, per quanto possa essere seducente l’idea – non dovrebbero farlo neppure gli scrittori-traduttori che, specie in un passato neppure troppo remoto, hanno creato a un vero e proprio e non sempre felicissimo filone di scrittori tradotti da scrittori – e non dovrebbero farlo nemmeno i traduttori dotati di un’ottima penna. E’ assurdo, con un autore grande come Heine, tentare di “migliorare il testo”, come invece può essere perfino consigliabile al traduttore esperto nella resa di autori minori che, per quanto interessanti nei contenuti, sono sprovvisti di qualità stilistiche originali e scrivono in modo anonimo e scontato. Si ripresenta, insomma, amplificata in tutta la sua importanza, la necessità di conciliare il massimo di fedeltà (al tedesco) con il massimo di scorrevolezza (dell’italiano). Questa, del resto, è l’unica regola aurea che un traduttore letterario serio può e deve sentirsi di sottoscrivere sempre, con i dovuti distinguo e le debite eccezioni.
Si sono fatte tutte le possibili distinzioni tra la traduzione tecnica e la traduzione letteraria, e tutte si sono rivelate false. Alcuni teorici della traduzione hanno scritto che il traduttore tecnico si occupa di contenuto e quello letterario della forma. Altri autori hanno affermato che una traduzione tecnica deve essere letterale e una letteraria libera, altri invece l’opposto. Come sostiene direi giustamente uno dei massimi teorici della teoria della traduzione, Peter Newmark, una tradizionale manifestazione di snobismo pone il traduttore letterario su un piedistallo e considera altri tipi di traduzione mera routine, meno importanti o più semplici. Non è così, e lo posso dire con cognizione di causa, avendo in passato partecipato alla traduzione italiana di testi tecnici come il “Lexicon der Liebe” del sessuologo austriaco Ernst Borneman: la distinzione fra un modo di scrivere accurato, sensibile ed elegante ed espressioni prevedibili, banali o puramente di moda dall’altro, pone fine a questa discussione. Un traduttore deve sempre e comunque rispettare un modo di scrivere elegante, rispettando il testo di partenza, sia si tratti di un brano scientifico, che poetico, filosofico o narrativo. Se il linguaggio è scadente, è di solito dovere del traduttore migliorarlo, sia che si tratti di un testo tecnico che di un best-seller commerciale, scritto del tutto meccanicamente e con il solo intento di venderne il maggior numero di copie possibile.
Ma torniamo a Heine che fra il 1824 e il 1831 scrive i suoi “Reisebilder” pubblicandoli, in un primo tempo, assieme a raccolte e a frammenti poetici diversi. Il “Reisebild”, o racconto di viaggio – oggi lo potremmo definire quasi un reportage giornalistico se anche questo nobile genere non fosse stato soffocato dall’imperante dilagare del banalizzante linguaggio televisivo – era divenuto, già con Forster e con Seume, strumento di critica politica e sociale. E tale è anche per Heine, cui il continuo vagabondare offre il pretesto per mettere in scena una sorta di monologo interiore in cui lirica e politica, satira di costume e critica mordace, vengono a creare un “misto”, come ebbe a dire egli stesso a proposito del suo “Viaggio nello Harz”, di descrizioni naturali, ironia e poesia. E’ un vagabondare, si badi bene, che viene ad assumere sempre meno il carattere squisitamente settecentesco di viaggio dotto e culturale, e sempre più quello di ottocentesco, e quindi più vicino alla nostra sensibilità, di viaggio della mente o, se vogliamo, dei sentimenti.
Nasce con Heine il giornalismo letterario, lo scrivere di letteratura a servizio della giornata. Dal salotto, istituzione che nella prima metà dell’Ottocento è ancora nel suo pieno fulgore, l’arte della conversazione e della polemica letteraria tende a passare sulla pagina stampata o, almeno, sulla pagina scritta per esserlo; così le heiniane “visioni di viaggio” – è questa la traduzione del titolo che si è finita per adottare nella presente edizione, preferendola ad altre, come “Appunti di viaggio” o “Figure di viaggio” scelte in precedenti edizioni italiane – sono idealmente una serie di elzeviri che espongono, in un elegante tono di cicaleccio salottiero, le briose, argute, ma sempre illuminanti impressioni e riflessioni sulle persone conosciute e sui fatti accaduti durante il viaggio.
Lo scopo dei quattro volumi dei “Reisebilder” è, infatti, solo apparentemente quello di informare divertendo, in realtà ciò che all’autore interessa, è esporre con estrema precisione le proprie idee sulla vita sociale e politica o, molto più, attaccare i propri nemici – in primis l’aristocrazia e il clero – con una satira ora ironicamente velata, ora esplicita, bruciante e addirittura feroce.
Il primo volume dei “Reisebilder” fu pubblicato nel maggio del 1826 dagli editori amburghesi Hoffmann e Campe; ebbe un successo enorme, in pochi mesi nella sola Amburgo, ne furono vendute più di cinquecento copie. Oltre al “Viaggio nello Harz”, che è poi il racconto dell’escursione che, nel 1824, spinse Heine, all’epoca non ancora ventisettenne, dall’odiata città universitaria di Göttingen, l’eruditissima Georgia Augusta che lo aveva espulso in seguito a un duello, fin sulla cima del Brocken, il monte caro a Goethe, conteneva il ciclo della “Heimkehr” (Il ritorno) e la prima parte, in versi, della “Nordsee” (Il mare del Nord), che fu poi ripresa nel “Buch der Lieder” (Libro dei canti).
Nell’aprile del 1827 gli stessi librai ed editori Hoffmann e Campe, cui Heine si affiderà in seguito per tutte le sue opere, pubblicarono il secondo volume dei “Reisebilder”, contenente il secondo gruppo di poesie della “Nordsee”, anch’esso ripreso poi nel “Buch der Lieder”, la terza parte, quella in prosa della “Nordsee” e, sempre in prosa, “Briefe aus Berlin” (Lettere da Berlino) e “Ideen, das Buch Legrand” (Idee, il libro Le Grand) in cui campeggia, come del resto in “Die Nordsee”, la figura titanica di Napoleone Bonaparte. Il libro fu sequestrato in Austria, in Prussia, nell’Hannover e in altri stati tedeschi. Ciò favorì le successive edizioni, ben quattro entro il 1856, che dalla libera Amburgo arrivarono facilmente in ogni parte del Paese: del resto la relativa libertà nella circolazione dei libri e delle idee, era uno dei pochi vantaggi dello smembramento politico della Germania.
Il terzo volume dei “Reisebilder” fu pubblicato nel dicembre del 1829: era iol primo a contenere soltanto pagine in prosa e, in particolare, le prime parti del trittico dedicato all’Italia, “Die Reise von München nach Genua” (Il viaggio da Monaco a Genova) e “Die Bäder von Lucca” (I bagni di Lucca) in cui Heine rispondeva violentemente, spesso sfiorando il cattivo gusto, all’attacco subito dal Conte e Poeta August von Platen-Hallermünde che nella sua commedia “Der romantische Ödipus” (L’Edipo romantico) lo aveva presentato come “orgoglio della Sinagoga” impedendogli, per il fatto di essere ebreo, sia pure convertito al protestantesimo, di accedere alla carriera universitaria a Monaco. Il quarto volume dei “Reisebilder”, pubblicato nel gennaio del 1831, raggruppa “Die Stadt von Lucca” (La città di Lucca), terza tappa del viaggio italiano, e gli “Englische Fragmente” (Frammenti inglesi).
Tutta questa premessa ha un duplice scopo: il primo è di evidenziare che le “Visioni di viaggio” da me curate per la Frassinelli non sono la traduzione integrale dei “Reisebilder” heiniani: essa, infatti, comprende “Il viaggio nello Harz”, la terza parte del “Mare dl Nord”, quella, come abbiamo visto, in prosa, e la seconda e la terza parte della trilogia italianae cioè “I bagni di Lucca” e “La città di Lucca”. Al tempo stesso non possiamo definire questo volumetto una selezione, per quanto abbondante e, perché no, esaustiva, dell’opera originaria. Preferendo lo Heine prosatore, molto meno conosciuto, per lo meno da noi in Italia, dello Heine poeta, questa edizione di “Visioni di viaggio” pone l’accento su quello che una volta pubblicati tutti e quattro volumi di cui si compone l’opera è stato definito il prevalere del giornalista o del polemista Heine sullo Heine poeta. (continua)
16/03 Nelle foto, dall'alto, la copertina dell'edizione Frassinelli di Visioni di viaggio, ritratti vari di Heinrich Heine, l'immagine pittorica di Napoleone, Stefania Bonfadelli in Lucia di Lammermoor al Teatro Verdi di Trieste. di Rino Alessi bellaunavitaallopera.blogspot.com
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