TRADURRE "DIE REISEBILDER" DI HEINRICH HEINE: TERZA PARTE DEL TESTO DELLA CONFERENZA CHE TENNI ALL'UNIVERSITA' SVIZZERA DI DORIGNY NEL 1996. LA DEDICO AL RICORDO DI MIO PADRE

L’attacco del “Viaggio nello Harz" già ci mette in medias res: ci troviamo subito di fronte, anzi di spalle, all’odiata città universitaria di Göttingen. Heine usa un tono prosaico e piano, che contrasta in modo quasi stridente con i versi di scherno, “voglio salire lassù sui monti, / guardarvi dall’alto e ridere di voi” che aveva appena finito di rivolgere ai “lucidi signori” e alle “signore levigate” che popolano la città: “Die Stadt Göttingen, berühmt durch ihre Universität, gehört dem Könige von Hannover und enthält neunhuntertneunundneunzig Feuerstellen, diverse Kirchen, eine Entbildungsantstalt, eine Sternwarte, eine Karzer, eine Bibliothek und einen Ratskeller, wo das Bier sehr gut ist.”. E’ la parodia di un maldestro opuscolo illustrativo di Göttingen, all’epoca cominciavano ad andare molto di moda, e la città è definita “celebre per le sue salsicce e per l’Università.” Con teutonica pignoleria è precisato che appartiene al re dell’Hannover e contiene novecentonovantanove focolari, cioè – in senso lato – case, “diverse chiese, una clinica ostetrica, un osservatorio astronomico, un carcere, una Biblioteca e una cantina municipale dove si beve dell’ottima birra.”. Le attrattive di Göttingen sono elencate alla bell’e meglio, quasi con un senso di noia, le salsicce sono accostate all’Ateneo, il carcere alla Biblioteca. Poco più sotto il tono parodistico si fa ancora più acceso, quando Heine si riferisce alla pubblicazione di un illustre abitante di Göttingen, il medico Karl Friedrich Heinrich Marx, quasi un omonimo del padre del “Manifesto del partito comunista” che, guarda caso, sarà una delle numerose personalità di spicco che il nostro autore incontrerà negli anni dell’esilio parigino. Nel suo scritto “Göttingen in medizinischer, physischer und historischer Hinsicht” (Göttingen, sotto l’aspetto medico, fisico e storico) pubblicato nel 1824, questo illustre medico, oggi per noi un signor nessuno, aveva affermato: “certi censori negano alle nostre donne il vanto di avere dei bei piedi, ma hanno torto. Perché se talvolta per precauzione contro i calli, usano stivali un po’ larghi, affinché non premano, tutti devono ammettere che, sebbene qualcuna usi stivali larghi, le più stanno ben ritte sui loro piedi.”
. Heine, come suo costume, stravolge questa insipida affermazione, e rimprovera Marx di non essersi opposto con argomentazioni sufficientemente vigorose a quella falsità secondo cui le donne di Göttingen avrebbero piedi troppo grandi. Parodiando lo schema utilizzato nella ricerca scientifica, si lancia nella descrizione di una futura dissertazione affermando: “Ja, ich habe mich sogar Jahr und Tag mit einer ernsten Widerlegung dieser Meinung beschäftigt, ich habe deshalb vergleichende Anatomie gehört, die seltenste Werke auf der Bibliothek exzerpiert, auf den Weendestrasse stundenlang die Füsse der vorübergehenden Damen studiert, und in der grundgelehrten Abhandlung so die Resultate dieser Studien enthalten wird, spreche ich 1) von der Füssen überhaupt, 2) von den Füssen bei den Alten, 3) von den Füssen bei den Elefanten, 4) von den Füssen der Göttingerinnen, 5) stelle ich alle zusammen, was über diese Füsse auf Ullrichs Garten schon gesagt worden, 6) betrachte ich diese Füsse in ihren Zusammenhang und verbreite mich bei dieser Gelegenheit auch über Waden, Knie usw., und endlich 7), wenn ich nur so grosses Papier auftreiben kann, füge ich noch hinzu einige Kupfertafeln mit dem Faksimile göttingischer Damenfüsse.”. Tradurre questo passo pone numerosi problemi. Uno, innanzitutto: una delle ideee-guida che ho voluto, e quindi dovuto seguire nel corso del lavoro di traduzione di “Visioni di viaggio", è stata quella di non togliere il respiro del racconto e del’autore. Mantenere dunque i blocchi sintattici, ossia la durata del periodo e la concatenazione delle frasi al suo interno, senza creare inopportune interruzioni aggiungendo punti o punti e virgola nell’italiano. Questo, naturalmente, nei limiti del possibile.
Nel caso particolare mi è sembrato che , per mantenere un italiano scorrevole e, al tempo stesso, il tono pedante della descrizione fosse necessario scostarsi leggermente dall’originale fare una pausa. Una traduzione letterale non avrebbe funzionato anche perché ciò che è semplice e limpido in tedesco, non lo è sempre in italiano. Ho quindi preferito enucleare l’assunto iniziale. “Sono anni che medito di confutare in modo serio l’opinione sopracitata” chiudendolo in una frase compiuta che gli dà, a mio avviso, maggiore enfasi. Anziché ripetere il soggetto come accade nell’originale tedesco, ho preferito iniziare la frase successiva, in cui il soggetto è sottinteso, con un complemento: “Per questo motivo”, che è sostanzialmente fedele alla congiunzione “deshalb” utilizzata da Heine in posizione subordinata. Poi il testo italiano prosegue: “ho frequentato un corso d’anatomia comparata, consultato le opere più rare in Biblioteca, studiato per ore e ore i piedi delle signore che passavano per la Weenderstrasse e, nell’eruditissima dissertazione che conterrà i risultati di questi studi parlerò:
!) dei piedi in generale, 2) dei piedi degli antichi, 3) dei piedi degli elefanti, 4) dei piedi delle donne di Göttingen: 5) racconterò tutto ciò che su questi piedi è stato detto nel giardino di Ullrich – piccolo inciso, Ullrich è un noto locale di Göttingen dove, sotto la pergola, si può assaporare l’ottima birra di cui Heine parlava pocanzi -; 6) prenderò in esame i rapporti tra tutti questi generi di piedi e coglierò l’occasione per estendere il discorso ai polpacci, alle ginocchia e così via e – infine – 7) se riuscirò a procurarmi un facsimile di carta abbastanza grande, vi aggiungerò incisioni con il facsimile dei piedi delle signore di Göttingen.”.
Ma, a parte l’ironia, nella “Harzreise” si sente tutto il buonumore di chi, ormai sicuro di avere la laurea in tasca, si concede il lusso di andarsene a piedi senza una meta precisa per il puro gusto del vagabondare in piena libertà. “Il viaggio nello Harz” è veramente un tuffo in una sorgente d’acqua pura, nella natura elementare per chi, nel clima soffocante dell’Università di Göttingen, patria tedesca del diritto, ha dovuto per troppo tempo respirare l’aria stantia della cosiddetta “stalla delle Pandette.”. La fuga dall’ambiente accademico e filisteo di Göttingen, l’incontro con i minatori e le tradizioni della poesia popolare, l’ascesa al Broicken sono le tappe di un percorso attraverso il quale l’autore mette alla prova la poetica che nelle sue liriche aveva iniziato a mostrare la corda. Ogni tappa del viaggio è scandita da un sogno. Ai pernottamenti di Osterode, Klausthal, Goslar, nella capanna e nell’ostello sul Brocken segue immancabilmente il racconto di altrettanti sogni, o incubi, o visioni, o anche – nel caso della “Bergidylle (Idillio sui monti) – un intermezzo lirico, nella stessa posizione e con la medesima funzione del sogno.
Il simbolismo del sogno permette a Heine di enunciare i suoi interrogativi, ma di farlo in modo cifrato, alludendo a quei temi cui, per ora, non crede di poter da una formulazione poetica conveniente. Prendiamo il sogno di Osterode. L’azione si divide in due parti: l’io onirico del narratore si ritrova nella Biblioteca giuridica di Göttingen e assiste all’arrivo della titanessa Temi, la dea della giustizia, accompagnata da un petulante corteggio di giureconsulti. Il punto di svolta è segnato dall’accorata invocazione di Temi a Prometeo, che mette fine alle grottesche dispute fra giuristi e provoca la fuga del narratore nella sala storica, sotto i volti benedicenti dell’Apollo del Belvedere e della Venere medicea. Il sogno heiniano non lascia trapelare riverberi magici o simbolici: è un resoconto fitto di dettagli realistici. “ich stand in einer Ecke des juristischen Saals, durchstöberte alte Dissertationen, vertiefte mich im Lesen, und als ich aufhörte, bemerkte ich zu meiner Verwunderung, dass es Nacht war und herabhängende Kristall-Leuchter den Saal erhellten. Die nahe Kirchenglocke schlug eben zwölf, die Saaltüre öffnete sich langsam, und herein tra teine stolze, gigantische Frau, ehrfurchtrchtsvoll begleitet von den Mitgliedern und Abhängern der jüristischen Fakultät. Das Riesenweib, obgleich schon bejahrt, trug dennoch im Antlitz die Züge einer strengen Schönheit, jeder ihrer Blicke verriet die hohe Titanin, die gewaltige Themis.”.
In questo caso è stata mia cura mantenere anche nella versione italiana il periodare stringato, moderno se vogliamo, di Heine e, soprattutto, l’esattezza dei dettagli: “Ero in un angolo della sala giuridica, frugavo tra vecchie tesi di laurea, mi sono immerso nella lettura e, quando ho smesso, mi sono accorto con grande meraviglia che era notte e che lampadari di cristallo, dall’alto, rischiaravano la sala. La campana della chiesa vicina batteva giusto la mezzanotte, la porta si è aperta lentamente ed ecco entrare una donna superba e gigantesca, rispettosamente accompagnata da membri e discepoli della facoltà giuridica. Per quanto già in là con gli anni, la gigantessa conservava in faccia tracce di una severa bellezza. Ogni suo sguardo rivelava l’illustre figlia dei Titani, la potente Temi.”. La parola composta “das Riesenweib”, la donna gigante, l’ho risolta con il femminile di gigante, gigantessa, che forse in italiano non è del tutto ortodosso, ma che mi ha risparmiato una delle tante locuzioni che si finiscono con l’adottare per tradurre le numerose parole composte di cui è ricco il tedesco e che allungano sempre la versione rispetto all’originale.
Il tempo prescelto è per lo più il passato prossimo. Nel caso del sogno la scelta era quasi obbligata, chi – per raccontare un sogno o un incubo, cioè una situazione sospesa tra fantasia e realtà –non ricorre, in italiano, all’imperfetto o al passato prossimo? Ma tutto il racconto heiniano è sospeso tra fantasia e realtà, e quindi si presta a essere tradotto, salvo eccezioni in cui l’ormai desueto passato remoto è irrinunciabile, al passato prossimo. Nel sogno di Osterode sarebbe semplicistico leggere il congedo del poeta dalla giurisprudenza e l’annuncio della raggiunta consapevolezza della propria vocazione poetica in una cornice di estetismo paganeggiante. In realtà il significato del sogno va piuttosto ricercato nella corrispondenza fra il personaggio di Prometeo, il Titano che orgogliosamente ruba il fuoco agli dei dell’Olimpo per portarlo agli uomini e viene punito da Zeus, che lo fa incatenare a una rupe del Caucaso dove un’aquila gli divora quotidianamente il fegato, che ogni giorno si rproduce, con Napoleone, l’Imperatore esiliato a Sant’Elena dalle potenze della Santa Alleanza. Se nei suoi nemici, nel clero e nella nobiltà, Heine riesce sempre a scoprire il punto debole, il tallone d’Achille della stoltezza calcolatrice, per Napoleone egli prova un entusiasmo autentico, un entusiasmo che è anche al centro e in modo molto più esplicito, delle successive prose de “Il mare del Nord”: Heine sente Napoleone, perché come è stato osservato, si sente un po’ Napoleone, e in lui vede non l’affossatore della Rivoluzione francese, ma il suo grande legislatore, colui che ha diffuso in Europa i diritti di uguaglianza e libertà. (continua) 17/03 Nelle foto, Paesaggi dello Harz, la copertina della versione Frassinelli di "Visioni di viaggio", il ritratto pittorico di Napoleone e quello in bassorilievo di Heinrich Heine. di Rino Alessi bellaunavitaallopera.blogspot.com

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