Prosegue anche nelle repliche il successo trionfale di Les Contes d'Hoffmann al Gran Teatro La Fenice: VENEZIA ACCOGLIE OFFENBACH DIRETTO DA CHASLIN E PER LA REGIA DI MICHIELETTO CON TUTTI GLI ONORI, ECCEZIONALI LE PROVE DEL PROTAGONISTA RIVAS E DI ALEX ESPOSITO NEI PERSONAGGO DIABOLICI

Les contes d'Hoffmann o, in italiano I racconti di Hoffmann, è un'opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo che Jacques Offenbach, il piccolo Mozart degli Champs-Elysées vide rappresentata postuma, su un libretto di Jules Barbier, tratto da una pièce da lui scritta nel 1851 assieme a Michel Carré, all'Opéra-Comique di Parigi il dieci febbraio del 1881.
Dedito prevalentemente al genere dell'operetta – e che operetta! - Offenbach, morì prima di averne completata la strumentazione, terminata da Ernest Guiraud, l’autore dei recitativi cantati di Carmen, per intenderci. La pièce di Michel Carré e Jules Barbier, così come il libretto dell'opera, sono ispirati viceversa a tre racconti dello scrittore e compositore romantico E.T.A. Hoffmann (Königsberg, 24 gennaio 1776 - Berlino, 25 giugno 1822), personaggio icona dell’Ottocento romantico. Si tratta in particolare di Der Sandmann (L'uomo della sabbia), ossia il primo racconto dei Notturni (1817), più volte citato da Freud, in cui il protagonista Nathanael, innamoratosi di Olympia che alla fine scoprirà essere un automa, deve fronteggiare il fisico Spalanzani e la figura “diabolica” dell'ottico Coppelius. Un secondo racconto, Rath Krespel, Il consigliere Krespel, tratto dalla prima parte de I confratelli di Serapione (1819) narra la tragica storia d'amore tra la cantante Antonia e il “compositore B.” C’è poi Abenteuer in der Silvesternacht (Le avventure della notte di San Silvestro), estratto dalle Fantasie alla maniera di Jacques Callot (1814) e in particolare dal quarto capitolo ossia La storia del riflesso perduto (Die Geschichte vom verlorenen Spiegelbild) in cui il protagonista Erasmus Spikher incontra Peter Schlemihl, eroe del romanzo di Adalbert von Chamisso, Storia straordinaria di Peter Schlemihl (1813).
Nel composito lavoro di Offenbach e compagni si possono però trovare riferimenti anche ad altre opere di Hoffmann. Per fare un esempio, la "canzone di Kleinzack", intonata dal protagonista nel primo atto, è un ritratto grottesco dell'eroe del romanzo breve Klein Zaches, genannt Zinnober (Il piccolo Zaccheo detto Cinabro). O ancora, Pitichinaccio, spasimante di Giulietta nell'atto a lei dedicato, è ispirata all'omonimo personaggio del racconto Signor Formica (I confratelli di Serapione, quarta parte). Infine il capitolo delle Fantasie alla maniera di Jacques Callot consacrato al Don Giovanni di Mozart, nel quale l’artista che interpreta Donna Anna muore per aver troppo cantato, è fonte di ispirazione sia per la figura emblematica di Stella - ridicolizzata argutamente nello spettacolo veneziano all’epilogo – sia per il terzo atto. Hoffmann, che si erge nell’opera offenbachiana a figura di creatore maledetto, eternamente innamorato dell’amore, è il fulcro attorno al quale i librettisti hanno unito queste differenti storie, utilizzandolo sia come protagonista tenorile dell'opera, sia come anello di congiunzione fra i tre ritratti di donna impossibile da conquistare, racchiusi nella Stella che appare e scompare in continuazione. Un lavoro audace, non privo di qualche incongruenza, ma nel complesso abile per non dire geniale.
Detto questo, lo spettacolo veneziano concertato e diretto da Fréderic Chaslin, che ricordavamo alla Fenice nei precedenti Contes d’Hoffmann del 1994 in cui era riproposta la celebre mise en scène londinese di John Schlesinger, non si fa troppi problemi di filologia e utilizza tutta la musica di Offenbach pervenutaci a proposito di Les Contes d’Hoffmann. C’è qualche piccola esclusione – per esempio l’aria virtuosistica di Giulietta o la celeberrima “Scintille, diamant” nell’atto veneziano, che però non è di Offenbach - ma lo spettacolo di Damiano Michieletto (regia), Paolo Fantin (scene, una più bella dell’altra), Carla Teti (costumi, meravigliosi), Alessandro Carletti (disegno luci) e Chiara Vecchi (coreografie) non dà modo di rimpiangerle, tanto è conciso, centrato, abile nel rappresentare con arguzia di particolari in un contesto di grande eleganza la composita vicenda. Non c’è Venezia, un paradosso per uno spettacolo che si rappresenta a inaugurazione della stagione veneziana 2023/2024, ma l’atto di Giulietta è talmente pieno di colpi di scena, che non l’abbiamo rimpianta. C’è, viceversa, un po’ in tutto lo spettacolo, un amore incondizionato per il lavoro offenbachiano, restituito al pubblico con ritmo incessante –interrotto a nostro avviso dall’episodio di Antonia che non lievita come dovrebbe anche per l’incompatibilità fra il personaggio e la sua interprete – senza cali di tensione, in cui l’elettricità che la musica sprigiona deflagra in continuazione, ti coinvolge e ti coquista.
Carmela Remigio a parte, un’artista che ammiriamo da sempre ma che qui abbiamo trovato, purtroppo, fuori forma e fuori parte, i ritratti femminili sono ben sbozzati dalla funambolica Olympia di Rocio Perez, dalla Giulietta sensuale ed enigmatica, e molto ben cantata, di Véronique Gens, per non dire dell’ironia con cui Paola Gardina è La Muse, o della dedizione al personaggio “en travesti” di Niklausse dimostrata da Giuseppina Bridelli. Lo spettacolo veneziano, però, più che per le primedonne lo ricorderemo per i due primattori: Ivan Ayon Rivas scala le vette di una tessitura tenorile abnorme con una facilità sbalorditiva ed è un Hoffmann praticamente perfetto, anche scenicamente; Alex Esposito, dal canto suo, si appropria delle quattro figure diaboliche con una sagacia e un aplomb degni del grande artista che ormai è diventato e che la Fenice ha aiutato, e continua ad aiutare, a crescere.
Anche i secondi uomini non hanno demeritato, a cominciare dal brillante Didier Pieri nei quattro ruoli comici di Andrès, Cochenille, Frantz e Pitichinaccio che fanno da contraltare comico ai quattro diavoli, per proseguire con Christian Collia, con l’esperto ed esilarante Spalanzani di François Piolino, con Yoann Dubruque e Francesco Milanese. Ultimo, ma nonmeno importante, il Coro stabile della Fenice, ottimo, e ottimamente preparato da Alfonso Caiani. Dal podio, con la calma dei forti, governa il tutto con mano esperta e dedizione indefessa Frédéric Chaslin, applaudito al termine della rappresentazione cui abbiamo assistito, la terza delle cinque in cartellone, con tutti gli artefici della serata. Chi può, non si perda questo magnifico spettacolo che la Fenice coproduce con Opera Australia, dove ha già trionfato, e con i partner europei di Londra e Lione dove sarà in scena prossimamente. 29/11/2023 di Rino Alessi Info: www.teatrolafenice.it Foto: Michele Crosera bellaunavitaalloperablogspot.com

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