BARABAU/GUSTAVO VITTIMA DI SOPRUSO

Nella composita programmazione 2016/2017 del Gran Teatro La Fenice spicca per originalità il progetto “Opera Giovani” che nella stagione in corso ha visto rappresentato al Teatro Malibran il Dittico formato da due titoli del Novecento italiano: Barabau di Vittorio Rieti e L’aumento di Luciano Chailly su testo di Dino Buzzati. “A un primo sguardo questi due titoli sembrano non avere nulla in comune se non di essere stati creati nel Novecento” afferma il regista dello spettacolo Davide Garattini.
In realtà quello che emerge dal testo, sia musicale, sia testuale, è un mondo – quello del Novecento anni Sessanta- in cui la penna sarcastica e corrosiva di Buzzati (1906-1972) trasforma un racconto, L’aumento in cui si parla di un argomento oggi di estrema attualità, il denaro, in teatro e la pièce attrae a sua volta il ferrarese Luciano Chailly (1920-2002). Chailly padre, per non confonderlo con il direttore d’orchestra Riccardo Chailly, suo figlio, fu musicista con il gusto per il teatro musicale, e Buzzati fu autore molto nelle sue corde avendone musicati altri tre atti unici – Procedura penale, Il Mantello ed Era proibito - che vedemmo anni addietro rappresentati a Palermo. Il risultato è un atto unico fulminante e surreale che l’autore definisce opera da camera e fu tenuta a battesimo postuma all’Auditorium di Milano nel 2006. Barabau è invece la suite per orchestra che Vittorio Rieti (1898-1994), musicista più noto all’estero che in Italia, apprezzato da Stravinski, coreografato da Djagilevj e di gusto decisamente neoclassico trae dall’omonimo balletto. Pochi minuti di musica che fungono da cornice alla storia di un impiegato, Gustavo Campanella che istigato dalla moglie Ada chiede al suo superiore un aumento e questi glielo concede senza colpo ferire. Quando ormai la trattativa è conclusa e Gustavo può cantare vittoria, il commendatore si lascia sfuggire in maniera del tutto calcolata che presto gli impiegati con lo stipendio più alto saranno licenziati.
A Gustavo, con scorno della moglie, non resta che accettare una diminuzione dello stipendio precedente. Il finale in cornice su musica di Rieti potenzia la disfatta del lavoratore onesto vittima di sopruso. Il Barabau del balletto è infatti un ortolano cui viene imposto di assistere impotente al saccheggio del proprio orto da parte di soldati comandati da un sergente arrogante che impongono al protagonista di unirsi alle danze. Per non farlo lui si finge morto e, quando i soldati saranno andati via, potrà resuscitare e tornare finalmente a casa. Inutile dire che nello spettacolo – godibilissimo – di Davide Garattini che lo firma con la collaborazione di Paolo Vitale per le scene (le foto del servizio sono sue) e il disegno luci, Giada Masi per i costumi e Barbara Palumbo per le coreografie, Barabau e Gustavo sono la stessa persona e che la cornice enfatizza e sublima al contempo l’assunto buzzatiano. Detto questo, la parte musicale funziona molto bene perché i quarantacinque minuti di rappresentazione catturano lo spettatore grazie al dinamismo che Maurizio Dini Ciacci dal podio comunica all’Orchestra del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Giovani in buca e giovani pure gli interpreti, e tutti bravi e pronti a restituire con puntiglio quasi maniacale le parole del testo.
Si tratta di Safa Korkmaz che è, con onore, il mite Gustavo Campanella subissato dalle parole della moglie bisbetica Ada, una Francesca Gerbasi molto convincente, e poi da quelle del commendatore Sragioni di Francesco Toso. Luca Scapin nei panni dell’usciere e la coppia di danzatori Gianluca D’Aniello e Kal Guglielmelli completano la locandina. Tre recite soltanto, due destinate al pubblico delle scuole e la terza serale, cui abbiamo assistito con grande felicità. Al termine applausi per tutti. Sarebbe il caso di mettere in programma altre rappresentazioni

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