L'ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO RENDE OMAGGIO A GIACOMO MANZONI : in un CD Stradivarius diretto da Marco Angius. Il confronto con un musicista triestino del primo Novecento, Eugenio Visnoviz, morto precocemente, induce a qalche riflessione su dissonanze e dissociazioni in musica

La Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto, molto impegnata nella restituzione al pubblico del repertorio della contemporaneità, ha fatto uscire da poco per l’etichetta Stradivarius, l’album Parole da Beckett, nato in occasione dei concerti omaggio che OPV, nell’edizione 2022 di Veneto Contemporanea, ha reso alla carriera del grande compositore milanese per i suoi novant’anni. “Quando ho incontrato Manzoni a Milano” - ci racconta Marco Angius, direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto - “il Maestro fu molto sorpreso che potessi realizzare un regalo così ambizioso per i suoi novant’anni.”.
In effetti, aggiunge Angius: “vale la pena ricordare che nessun’altra orchestra italiana in questi anni si è così tanto profusa nella musica moderna e contemporanea italiana come OPV, sia nelle produzioni discografiche sia in quelle concertistiche e televisive. Ho pensato fosse importante incidere entrambe le opere, Dieci versi di Emily Dickinson, lavoro del 1989 per soprano e orchestra e Parole da Beckett, che la precede di diciott’anni e che proprio nel 1983, fu registrato da Bruno Maderna con i complessi della Rai di Roma, dal vivo in un vinile divenuto di culto”.” L’album riunisce quindi due opere cruciali di Manzoni, entrambe ispirate da autori anglosassoni, la Dickinson e Beckett: Parole da Beckett, in particolare, è una composizione del 1971 per due cori, tre gruppi strumentali e nastro magnetico e vede unirsi, per l’occasione, all’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Marco Angius, il soprano Livia Rado, l’Ensemble vocale Continuum e il Coro Polifonico Castelbarco diretti da Luigi Azzolini, e Alvise Vidolin alla regia del suono. Tra i massimi intellettuali viventi, Leone d’oro alla Carriera alla Biennale Musica del 2007, Manzoni è autore di opere per il teatro e di composizioni orchestrali eseguite in tutto il mondo. Nato a Milano, il ventisei settembre del 1932 Giacomo Manzoni non è soltanto un compositore tout court, ma una figura d’intellettuale poliedrica che si è occupata, negli anni, di critica musicale per L’Unità, ha tradotto dal tedesco i versi di Hölderlin, la prosa di Thomas Mann e la saggistica di Adorno. E’ stato, inoltre, insegnante di musica in varie istituzioni italiane. Le sue opere sono state interpretate da Claudio Abbado e Bruno Maderna, Maurizio Pollini ed Ernest Bour, Giuseppe Sinopoli e.Vladimir Fedoseev. Vi si è accostato perfino Riccardo Muti che non ha mai avuto tra le sue priorità, la diffusione della musica contemporanea. Dal 1959, ha introdotto in Italia il pensiero di Theodor Wiesengrund Adorno e Arnold Schönberg, grazie a numerose traduzioni. Manzoni ha pubblicato inoltre la prima monografia in lingua italiana dedicata a Schönberg e una Guida all'ascolto della musica sinfonica, ristampata più volte. Dal 1994 è membro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
È autore di composizioni per il teatro, come La sentenza (1960), Atomtod (1965), Per Massimiliano Robespierre (1974), Doktor Faustus (1988) rappresentata alla Scala per la regia di Bob Wilson. E ancora musiche per l’Oreste di Vittorio Alfieri (1993), Musica per Inferno di Dante (1995). Fra le opere di musica sinfonica, vocale e da camera, si possono ricordare, fra le altre, Insiemi (1967), Ombre (alla memoria di Che Guevara) (1968), la già citata Parole da Beckett (1971), e ancora Hölderlin (frammento) (1972), Masse: omaggio a Varèse (1977) dedicato a Maurizio Pollini. Più vicine a noi, Poesie dell’assenza (1990), Finale e aria (1991), Il deserto cresce, Tre metafore da Friedrich Nietzsche (1992), per non parlare della colonna sonora del film Malina (1990) di Werner Schröter, con Isabelle Huppert. Parole Da Beckett per due cori, tre gruppi strumentali e nastro magnetico è, in qualche modo, specchio di una multiforme architettura di ricerca, dove dialogano le diverse espressioni della conoscenza, le partiture trasportano nella profonda dimensione intellettuale di Manzoni, rivelando una drammaturgia sonora di singolare fascino. Avvalendosi dell’elaborazione e della sintesi elettronica del suono, Manzoni è in grado di esplorare nuovi spunti di libertà creativa. Come illustra Marco Angius nelle note del libretto che accompagna il CD Stradivarius: “Il primo lavoro, ispirato dai versi della Dickinson, si può definire una metafora sul silenzio della parola, sulla vertigine di un mondo poetico e interiore che il compositore rende in termini estremamente visionari. Quanto a Parole da Beckett, svincolandolo da un’originaria destinazione scenica, il brano converte la carica comunicativa delle voci, udibili o inudibili, in una fitta rete d’implicazioni foniche e gestuali: tuttavia, anziché puntare a una fusione timbrica delle diverse sorgenti sonore, il compositore tende piuttosto ad attribuire un carattere autonomo e dissociato a ciascuna di esse. Gli anni, numerosi e proficui, di frequentazioni veneziane della Biennale Musica mi hanno insegnato ad apprezzare, se non amare, il suono dissonante e dissociato, della contemporaneità. E mi hanno fatto conoscere, sia pure fugacemente, Marco Angius che Emanuela Caldirola mi presentò prima di un concerto e cui rivolsi qualche domanda. Pure dopo l’ascolto di un CD tanto impegnativo, sentivo, impellente, il bisogno di suoni consonanti.
Li ho trovati in un CD dedicato alla musica da camera di Eugenio Visnoviz, pianista e compositore geniale della Trieste del primo Novecento. Morì a soli ventisei anni e la sua storia potrebbe essere la sceneggiatura di un film. "Con la Filarmonica Arturo Toscanini abbiamo eseguito Hochzeitsmusik 1931, un brano che vi farà capire la statura di questo meraviglioso musicista"." Così Francesco Lanzillotta, a Parma nel 2016, ma già quattro anni prima al Teatro Verdi di Trieste si era accostato a quest’autore cui era dedicata la prima parte del programma di un concerto inserito nella Stagione sinfonica d’autunno. Compositore singolare e pianista talentuoso, del triestino Eugenio Visnoviz, scomparso nel 1931, l’orchestra stabile del Teatro Verdi, diretta dal Maestro Francesco Lanzillotta, aveva eseguito Gavotta e Musette per orchestra, in prima esecuzione moderna, e Hochzeitsmusik 1931 per archi. Cresciuto come compositore accanto ad Antonio Illersberg, il giovane autore sviluppò un personale disegno compositivo all’insegna di Brahms, forse una fuga dalla realtà per una ricerca di sicurezza in un passato florido, mitteleuropeo, autenticamente triestino.
Fu, scrive Massimo Favento, artefice della sua riscoperta e cointerprete del godibilissimo CD in questione, considerato “una luminosa meteora musicale” da tutti i suoi contemporanei, unanimi nel riconoscergli soprattutto superlative qualità strumentali, non solo di solista. “Al pianoforte era affascinante – riporta l’autorevole testimonianza di Vito Levi – e non appena discendeva dal podio ridiventava un essere sfuggente, incapace di intrattenersi con chiunque…”. L’archivio quasi segreto del giovane talento è un lascito di composizioni, ricchissimo per quantità e varietà, che oltre ai brani dedicati al pianoforte, copre anche un camerismo raffinato, rimasto quasi del tutto inedito fino ad oggi. In occasione dell’omaggio che il Verdi ha voluto dedicare al compositore, l’ultimo brano, “Ouverture sinfonica in la minore”, affidata dal fratello di Visnoviz Ermanno al Teatro Verdi nel 1968, è stata ritrovata solo nel 1997 e viene proposta in prima esecuzione mondiale. Non parla, risponde a monosillabi. Così narra Vito Levi. Continua lo scritto su Visnoviz di Favento: "Non scrive. Firma pochissime volte ingentilendo la "V" del proprio cognome. Scarabocchia la chiusa del cognome senza che si capisca se si debba leggere Visnovi-tz o Visnovi-z. Quando, poche volte, gli capita di scrivere in maniera distinta o in stampatello, la scelta Visnoviz appare più sicura.". I giornali triestini, ai quali vengono sicuramente recapitate o portate brevi manu le minute con gli annunci dei concerti, si confondono in un gioco grottesco quanto equivoco. Spesso nello stesso articolo a due, tre righe di distanza, si può trovare il cognome in tutte e due le forme... "E.V." (è meglio citarlo così) non scrive, o almeno le tracce di un suo scrivere non ci sono pervenute che in pochi frammenti. Tuttavia compone.
"A me, detto francamente, sembra una figura più da romanzo che da storia della musica, un qualcosa che mi ricorda Senilità di Svevo"." Così afferma Piero Rattalino. Svevo in Visnovitz, oppure Visnoviz in Svevo?... ci chiediamo noi. Difficile muoversi nel delineare un rapporto tra uno che attualmente è tra i più conosciuti scrittori del ‘900 a livello mondiale, e l'altro, un musicista che oggi si fatica a far conoscere già nella sua città! Eppure quando, la sera di venerdì otto aprile 1927, Svevo è in sala al Teatro Verdi, Eugenio è sul palcoscenico, probabile evocatore in italiano del Canto del Destino brahmsiano su testo di Hölderlin, cioè del momento clou della serata. L'osannato pianista dà lustro alla propria arte un giorno sì, e tre giorni anche, in tutte le maggiori sale e circoli cittadini.
"Morire di Musica...": questa è forse la risposta più probabile al rebus che nasconde la precoce quanto tragica morte di Eugenio Visnoviz, musicista di spicco della Trieste, Città Musicalissima del primo Novecento, crocevia culturale tra il mondo della Romantik tedesca, il melos italiano e il pathos slavo. Enfant prodige e professionista del pianoforte, Visnoviz, come compositore, subì le turbolenze di un vulcanico talento creativo sbocciato in uno dei periodi più delicati della storia della musica. Campione del Romanticismo imperante sul palcoscenico negli anni d'oro del consolidamento del concertismo, egli visse con intima e drammatica apprensione lo scoppio del "sistema" musicale durante la crisi del primo dopoguerra. Pratico, lucido e meticoloso cultore della propria preparazione Visnoviz assistette al vertiginoso progredire della musica del suo tempo cercando la sua via con l'umile atteggiamento di chi vuole ponderare valori acquisiti, traguardi concreti e utopie realizzabili o immaginifiche. In un momento di grande decadenza e di impetuosa creatività, taedium vitae a annichilimento ebbero la meglio sul giovane Visnoviz, malaticcio e sensibile. “La vita somiglia un poco alla malattia. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure...” afferma Italo Svevo con Zeno nella sua Coscienza. E la Musica fu forse la malattia che portò Visnoviz alla morte. 22/08/2023 Nelle foto in pagina, la copertina del CD della OPV dedicato a Manzoni, il compositore milanese ritratto da Lelli e Masotti, un'immagine del concerto di Parma in cui Francesco Lanzillotta eseguì un brano di Visnoviz, il ritratto del compositore triestino, una recente immagine del suo revisore Massimo Favento INFO: https://www.opvorchestra.it/https://www.facebook.com/LumenHarmonicum/ bellaunavitaallopera.blogspot.com

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