SERATA VERDIANA AL CALOR BIANCO A TRIESTE CON UN RIGOLETTO MAGNIFICAMENTE INTERPRETATO DAL BARITONO MONGOLO AMARTUVSHIN ENKBATH
Come per la precedente Lucia di Lammermoor anche il verdiano Rigoletto aveva una precedente edizione triestina diretta da Daniel Oren; ci riferiamo a quella dell’ormai lontano 2006, protagonista Renato Bruson, a conferma del forte legame fra il Maestro israeliano e la Fondazione lirica dell’estremo Nord Est d’Italia.
Con Rigoletto, avverte Daniel Oren, assistiamo a un’evoluzione che pone un marcato spartiacque fra la prima produzione di Verdi e quella della maturità. Nonostante molte delle innovazioni formali si fossero già prefigurate nelle opere precedenti, nessuna prima di Rigoletto aveva mostrato altrettanta unità stilistica e forza nell’espressione del dramma che, in questo caso, ruota attorno a una funesta maledizione.
La lettura che Oren fornisce di Rigoletto in quest’occasione segue alla lettera il dettato verdiano e, complice un disegno registico scorrevole e funzionale, realizza con il contributo di un’orchestra galvanizzata dalla sua presenza sul podio, un’interpretazione appassionata e appassionante dell’opera su testo di Piave desunta da un dramma di Victor Hugo. E’ un Rigoletto che alterna le luci e le ombre di una vicenda che non lascia tregua allo spettatore, alternando leggerezza e dramma, vivacità e pathos, che il Verdi di questo capolavoro esige.
Va detto che il palcoscenico raduna, sia merito del Maestro o meno poco importa, una compagnia molto bene assemblata. Amartuvshin Enkbath è un baritono che proprio come buffone verdiano si sta affermando sempre più a livello internazionale. La voce è generosa e al tempo stesso morbida e carezzevole nelle dolcezze paterne, il fraseggio ben calibrato e sostenuto da un’efficace articolazione della parola cantata, il gioco scenico efficace senza gli eccessi della tradizione. Come dire un Rigoletto ideale che il pubblico ha festeggiato molto, chiedendo e ottenendo il bis del duo della vendetta in cui il baritono mongolo ha avuto come partner il soprano Sabina Puertolas chiamata a sostituire una collega indisposta. Gilda è un personaggio delicato e l’artista spagnola lo realizza in modo appropriato ma, per così dire, poco concentrato, puntando più che sulla verità dell’interpretazione, su effetti vocali – i suoni sbiancati dei centri, per esempio, - che riportano l’eroina nella vetusta tradizione delle ingenue inconsapevoli. Dopo un avvio di serata incerto il Duca di Mantova del messicano Galeano Salas rivela i tesori della sua voce dorata che donano sfaccettature inedite e autentica nobiltà di accenti al suo personaggio di donnaiolo impenitente.
Detto del terzetto protagonistico, vanno rilevate le buone prove di tutta la compagnia, che può contare sul collaudato Sparafucile di Carlo Striuli, sufficientemente tenebroso e oscuro, sulla procace Maddalena di Martina Belli che è bella e seduttiva, ma senza esagerare e canta molto bene. Gabriele Sagona, dal canto suo è un vibrante Monterone, di forte presenza espressiva e buoni mezzi vocali, e con finezza sono delineate le figure di contorno di Marullo (lo scattante Fabio Previati), Ceprano (il sempre bravo Dario Giorgelé), Borsa (Enzo Peroni), per non parlare della puntuale custode Giovanna di Carlotta Vichi e di Miriam Artiaco impegnata nel doppio ruolo della Contessa di Ceprano e del Paggio della Contessa. Completano la locandina Damiano Locatelli, l’usciere di corte, e il coro maschile del Teatro Verdi ben preparato da Paolo Longo. Serata al calor bianco che nel finale ha visto applauditi tutti gli artefici, anche la regista Vivien Hewitt. La stagione prossima del Teatro Verdi, appena annunciata, dovrà fare a meno della collaborazione di Oren, e annuncia una programmazione accattivante che alterna Rossini e Mozart, Weill e Verdi, Puccini e Richard Strauss. Ne riparleremo.
di Rino Alessi. Foto: Fabio Parenzan
16 maggio
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