TURANDOT E AIDA: DOPPIA INAUGURAZIONE DI STAGIONE AL TEATRO VERDI DI TRIESTE

Per inaugurare la stagione lirica e di balletto 2019/2020 la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste ha deciso di fare le cose in grande. Doppia inaugurazione con tanto d’inno nazionale suonato in apertura di serata in entrambe le occasioni. Due titoli di sicuro richiamo popolare e di grande impatto sul pubblico, che ha risposto con entusiasmo alla sollecitazione del “suo” teatro. Gli autori più amati, Puccini e Verdi, di cui sono state ripresentate Turandot e Aida che mancavano entrambe da diverse stagioni da Trieste. Un’unica regina, Katia Ricciarelli in veste di regista che anche quest’anno, come già lo scorso per I Puritani, si è fatta affiancare da un team ben collaudato formato da Davide Garattini Raimondi per la regia, Paolo Vitale per le scene e il disegno luci, Giada Masi per i costumi, Anna Aiello per i movimenti scenici e Morena Barcone per le coreografie. Gli allestimenti erano realizzati in collaborazione con l’Odessa National Academic Theatre of Opera and Ballet che ha partecipato alle esecuzioni con il suo coro, venuto in soccorso di quello stabile del Teatro Verdi preparato da Francesca Tosi, e il suo corpo di ballo. Il riusultato? Due spettacoli se non di gran gusto, di grande effetto popolare, dai colori sgargianti e di rara staticità.
Per Turandot, essendo la prima programmata nell’anniversario della morte di Puccini, si è scelto di chiudere l’opera con la morte di Liù, la fragile schiava che offre la sua vita in nome dell’amore non corrisposto per il Principe Calaf: quindi con le ultime note scritte da Puccini per una delle più celebri incompiute della storia della musica universale. Fra i due spettacoli abbiamo preferito il secondo al primo, in altre parole Aida a Turandot, più scorrevole e semplice nel raccontare la trama del celebre lavoro di ambientazione egizia. Nel primo il palcoscenico ingombro di elementi mobili che volevano ricreare gli spazi immensi della Cina da favola che Puccini mette in scena ispirandosi a Gozzi, il risultato è stato più problematico, impedendo il movimento e costringendo il tutto – se si escludono gli interventi delle tre maschere - a una sconcertante staticità che in certi momenti ci ha ricordato un’esecuzione in forma di concerto. Anche sul fronte musicale l’esecuzione di Aida, di cui sono state programmate tre sole recite fuori abbonamento, ci è sembrata preferibile a quella di Turandot. Alle sonorità eccessive che Niksa Bareza chiedeva alle masse in Puccini, Fabrizio Maria Carminati, in Verdi, rispondeva con una lettura più meditata che teneva conto delle voci non torrenziali di cui disponeva e si metteva al loro servizio con tempi in genere piuttosto serrati e un generale buon impatto fonico. Dal canto suo e dall’alto della sua grande esperienza musicale, Bareza non ripeteva in quest’occasione la bella lettura che aveva offerto la stagione passata per Madama Butterfly. Quanto alle voci in scena, la Turandot del soprano croato Kristina Kolar, al suo debutto nel personaggio della Principessa di gelo, è un’artista di qualità, di grandi mezzi vocali e scenici, ma l’abbiamo sentita e ammirata con più profitto in altre occasioni.
Il tenore franco-tunisino Amadi Lagha ha voce forte ed estesa e i suoi acuti squillano bene, l’interpretazione è però appena abbozzata e il fraseggio non è, al momento, troppo rilevante. Anche lei al suo debutto in Liù, Desirée Rancatore manifestava viceversa belle intenzioni espressive a fronte di una vocalità non più freschissima. Le tre maschere erano ben risolte da Alberto Zanetti, Saverio Pugliese e Motoharu Takei, mentre le due figure paterne trovavano in Andrea Comelli (Timur) e soprattutto in Max René Cosotti (l’imperatore Altoum) due interpreti di buona professionalità. Giuliano Pelizon risolveva al meglio gli interventi del Mandarino e Roberto Miani quello del Principe di Persia. In Aida si è imposta soprattutto l’elegante e fascinosa Amneris del mezzosoprano russo Anastasia Boldyreva apprezzabile per l’impeto con cui ha affrontato la grande scena del giudizio di Radames.
Svetlana Kasyan, russa anche lei, è invece un’Aida che risolve meglio i momenti di concitazione di quelli sentimentali e lirici, ed è quindi una protagonista un po’ unilaterale. Gianluca Terranova è un Radames che segue il percorso tenorile di Radames con accento autorevole e qualche buona zampata interpretativa, e bene si disimpegnano anche il vigoroso Amonasro di Andrea Borghini, il Ramfis di Cristian Saitta, il Re di Fulvio Valenti, il Messaggero di Blagoj Nacoski e la Sacerdotessa di Rinako Hara. All’esecuzione di Turandot ha dato il suo non superfluo apporto il coro dei Piccoli Cantori della Città di Trieste preparato e diretto da Cristina Semeraro: unica nota di freschezza per un’esecuzione sostanzialmente monolitica. Successo pieno per entrambe le serate inaugurali. 29 novembre/1° dicembre. di Rino Alessi. Foto di Fabio Parenzan. bellaunavitaallopera.blogspot.com

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