PAOLO STOPPA: E' SEMPLICE CIAMPA SONO IO

Affabile, sorridente, gentile, addirittura ottimista, Paolo Stoppa fa di tutto per smentire la sua fama di uomo dal carattere difficile. Sarà per il distacco che gli deriva da una non più rosea età, settantotto anni splendidamente portati, o per il successo che accompagna ogni sua apparizione. A fine stagione sarà con Giorgio Strehler per un Beckett, L' ultimo nastro di Krapp, al Piccolo di Milano. Nel frattempo si accinge ad essere, come lo scorso anno, lo scrivano Ciampa del pirandelliano Berretto a sonagli. Il debutto, a fine mese, è fissato al Goldoni di Venezia, regista Luigi Squarzina ("sarà un caso, ma ho iniziato a provare proprio al termine della Biennale, loro se ne vanno e arrivo io...") e, dopo Venezia, sarà a Roma, al Teatro Quirino. Lo hanno appena invitato a Taormina, alla festa del teatro, e lui è andato a raccogliere applausi. Lo invitano a festeggiare i sessant' anni della radio e lui, felice, accetta. Anche se di radio in cinquantasette anni di carriera ne ha fatta poca. Una cosa, sì, gli piace ricordare, quel duetto domenicale, "Eleuterio e sempre tua" con Rina Morelli, che fu uno dei motivi del successo di Gran Varietà. "Le domeniche" racconta "tutti lì, sulla spiaggia, ad ascoltarci con la loro radiolina portatile..."). E Ciampa? "E Ciampa lo affronto con la stessa paura con cui l' ho fatto l' altr' anno.
L' ho studiato due anni. Ricordo che quando Pirandello fece a Roma il suo Teatro d' Arte e, fra gli allievi dell' Accademia, scelse anche me e una ragazza che si chiamava Anna Magnani per fare le comparse nella "Sagra del Signore della Nave", fu proprio lui, Pirandello a dirmi che questo Ciampa era una delle cose più belle che aveva fatto e che aveva amato di più. Era il 1926, pensi un po' , Pirandello prese a benvolermi, mi parlava, mi sbalordiva...". Già, ma il "suo" Ciampa? "La mattina, già è scoccata l' ora, s' avvicina il momento delle prove, la mattina è lui che mi dà la sveglia. A Milano l' anno scorso ha avuto molto successo, e guardi che non sono il tipo che ama autoincensarsi, ma il successo c' è stato. L' ho fatto a Milano per un senso di riparazione. Ventinove prime con Luchino Visconti tutte a Roma... Già, Ciampa. Io non ho visto nessuna edizione del "Berretto". Ci sono stati grandissimi attori, Eduardo, Turi Ferro. Musco, mi dicono, faceva una cosa assolutamente comica. Si mangiava la paglietta...". E lei? "Io l' ho fatto come me. Come sentirei io, come soffrirei io. L' ho cercato di fare senza aggiungere niente. Ho cercato di entrare puramente nella verità, che Pirandello ha amato in modo così mostruoso. Ho cercato di rendere questa crisi di semifollia, cui mi sono autobbligato". Senta, Stoppa, dall' alto della sua esperienza come vede il teatro oggi? "Siamo l' unico paese in cui si fanno trecento spettacoli in un anno. Non dobbiamo essere contrari a questo fatto: questo furore di farlo, il teatro, lo stimo e lo apprezzo. Qualcosa di buono verrà fuori. Del resto vogliamo che il teatro faccia la fine del nostro cinema? Hanno spremuto quattro persone, quattro attori, e lo hanno ammazzato, il cinema". Però, succede che gli autori siano quasi sempre gli stessi. Quattro testi di Pirandello in una stagione, ad esempio... "Forse meglio così che nel dopoguerra, quando dicevamo che Pirandello era una scocciatura.
E poi, io non lo dico per me ormai, ma il teatro vuol dire cultura, civiltà. Siamo in tanti, ma siamo anche molto pochi. Sempre quelli. E il teatro di domani qual è?". Lei ha lavorato con tutti i grandi registi del teatro italiano, da Visconti in poi... "Ho cercato sempre di avere un bravo regista. E ho sempre lavorato con amici. Con Luchino, per trent' anni... Per me Luchino ha fatto Goldoni, che lui non sentiva. Qualsiasi regista l' ho sempre stimolato. E voglio che dica, che dica, che dica...". E ha lavorato anche con un regista dell' avanguardia... "Sì, con Memè Perlini, tutti mi dicevano che era disonorante per me permettere a registi come lui di uscire dai teatrini per entrare nei grandi teatri all' italiana. Io, devo dire, non mi sono sentito per niente disonorato. Mi è andata bene e così, credo, a Memè. Ho fatto anche questa esperienza e ho capito". Che cosa? "Tutto. Che, sul fronte dell' avanguardia, non ci sono speranze di qualche giornata di sole. Non si può sempre cambiare a tutti i costi!". Ma il teatro di Visconti non fu un teatro di cambiamento? "Fu un aggiornamento. Abbiamo visto cos' era il teatro nel mondo. Abbiamo fatto Anouilh, Sartre. Il pubblico italiano era indietro". Pirandello si faceva poco? "Sì. Io stesso ne ho fatto poco. Due edizioni di Così è se vi pare e ora il Berretto. Perchè ne ho fatto poco? Perchè avevo paura. Perchè non avevo ancora la potenza per farlo fare". Le mancava, nella sua carriera, un' esperienza con Strehler? "Non completamente. Ho fatto, con Strehler, quella grossa cosa che fu Il Corvo di Gozzi, bellissimo spettacolo che Salvini portò prima a Venezia, poi a Londra e a Parigi. Quando dal Piccolo andarono via Santuccio e la Brignone, Strehler chiese a Rina Morelli e a me di andare a Milano. Non potemmo accettare perchè avremmo tradito un amico, Visconti. Ora mi è capitata questa possibilità e ne sono felice. Mi levo da questa bolgia infrenale e vado in una casa che potrebbe essere la mia". Stoppa, lei ha girato centonovantanove film. Farà il duecentesimo? "No, finchè mi offrono "Il Petomane" o "Culo e camicia". No grazie, preferisco di no". La Repubblica di RINO ALESSI 24 ottobre 1984

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