Riflessione di Giovanni Boer, Parroco di Santa Eufemia e Santa Tecla a Grignano - XXVI Domenica Anno A – Matteo 21,28-32

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: “Il primo”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”. Matteo riporta questa parabola di Gesù collegandola immediatamente a una domanda che gli hanno fatto i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo. La domanda era: “con quale autorità fai queste cose?”.
Gesù aveva cacciato i mercanti dal Tempio, allontanando gli animali che lì venivano comprati e venduti, e aveva rovesciato a terra il denaro dei cambiavalute, e l’aveva fatto perché tutto questo “traffico” era appunto diventato un traffico disonesto. Questo “traffico”, che doveva servire in realtà per il culto a Dio, era diventato invece motivo di lucro disonesto. Il gesto che Gesù aveva fatto, e che aveva creato non poco scompiglio, aveva tutta l’aria di un gesto profetico (non posso qui dilungarmi su questo): e quindi i capi del popolo non avevano chiamato le guardie del Tempio per fermare Gesù, ma andarono a chiedergli con quale autorità avesse fatto questo. Gesù lì per lì non risponde, e non vuole rispondere perché non vogliono rispondere a una domanda che Lui stesso fa a loro: con quale autorità Giovanni Battista aveva fatto tutto quello che aveva fatto? Non Gli vollero rispondere per disonestà, come fa notare l’evangelista: se gli avessero risposto che Giovanni aveva operato con l’autorità di Dio, Gesù avrebbe chiesto: “perché non gli avete creduto?”. Se gli avessero risposto che Giovanni aveva “lavorato” soltanto perché se l’era messo in testa lui di essere speciale, temevano la reazione della folla, che riteneva Giovanni un profeta. E quindi gli dicono, mentendo, “non lo sappiamo”. Allora Gesù dice che non risponde, ma ... in verità risponde indirettamente, proprio con la parabola che noi leggiamo oggi.
Dopo questo preambolo, che mi sembrava necessario, desidero soffermarmi su un punto, quello che sembra il più provocatorio, e che viene spesso citato: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Non è una lode ai pubblicani perché fanno bene il loro lavoro di pubblicani (che imbrogliavano parecchio!) e le prostitute perché sono prostitute. Questo lo capiamo tutti. E non è nemmeno una sorta di scusa per sminuire la responsabilità di una prostituta e di un pubblicano, quasi a dire “poveretti, loro mica possono essere considerati tanto responsabili, perché ci sono costretti a vivere come vivono, mentre voi – i dottori della legge e i capi religiosi del popolo – voi siete davvero cattivi”. Non è così. Difatti, dovremmo citare la frase di Gesù in maniera completa: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio perché i pubblicani e le prostitute a Giovanni hanno creduto e si sono pentiti”. Sì: non è la vita del pubblicano o della prostituta che Ti rende più vicino a Dio e più capace di entrare nel Regno dei Cieli, ma di fatto molti pubblicani e prostitute andarono da Giovanni Battista e si convertirono. Sapevano di essere peccatori e ne sentivano il peso. E hanno “approfittato” della bontà di Giovanni Battista. Anche i capi del popolo con i quali Gesù sta parlando in quel momento avevano bisogno di convertirsi ma, da come parla Gesù, hanno rifiutato di farlo: hanno rifiutato.
Questo rende la cosa grave. In fin dei conti, tutti abbiamo davvero bisogno di convertirci. E non c’è peccato dal quale non si possa uscire (a parte quello contro lo Spirito Santo), se c’è un cuore che comunque rimane aperto, almeno un po’ aperto (questo vuol dire che, se molti pubblicani e prostitute si convertirono quella volta, avevano il cuore aperto, almeno un po’). Così dobbiamo dire che non è l’appartenenza a un gruppo privilegiato che ti salva (come poteva essere quello dei capi del popolo e degli anziani a Gerusalemme al tempo di Gesù, cioè il gruppo degli “esperti della fede e della Bibbia”): ma mi salvo se in quel gruppo io, tu, chiunque ne fa parte, cerchiamo di rimanere puri e onesti, e umili. Non è aver commesso molti peccati come un truffatore (il pubblicano) o una prostituta che ti esclude da Dio: da Dio ti escludi tu se, quando ti accorgi che sei completamente fuori strada, ti diverti a rimanere in quella strada... Così, non è l’appartenere a un gruppo parrocchiale di oggi che ti garantisce che vai in paradiso, ma è il modo in cui ci appartieni.
Un altro punto: se alla predicazione di Giovanni Battista molte prostitute e molti pubblicani si sono liberati da uno stile di vita grave e invischiato, noi possiamo dire che ci si può convertire. E si può rimanere puliti dopo essersi convertiti: basta alimentare quello spazio nel cuore che ti fa capire che la tua vita non è rinchiusa nelle quattro mura dei pochi anni che viviamo qui. Termino dicendo anche – a onor del vero – che ci furono capi e anziani del popolo e sacerdoti che credettero a Gesù, e lo seguirono. Dico questo per evitare di pensare che tutti i capi del popolo e tutti i sacerdoti di quella volta si misero contro Gesù! Pace e Bene. Per voi, mie carissime e miei carissimo aggiungo ... Ho scritto “Il gesto che Gesù aveva fatto ... aveva tutta l’aria di un gesto profetico”. Sì, perché nelle profezie di Geremia e di Ezechiele, e nell’interpretazione di queste profezie al tempo di Gesù, come testimoniano gli scritti di Qumran, si parlava di una contaminazione del Tempio e di una sua necessaria purificazione, che culminava con la venuta del Messia. Il gesto di Gesù, in quell’occasione (siamo a ridosso di una grande festa ebraica), con tutti gli elementi connessi e con l’attesa del Messia che c’era, poteva davvero leggersi come una sorta di gesto profetico.
Ho scritto “E non c’è peccato dal quale non si possa uscire (a parte quello contro lo Spirito Santo)”. È difficile capire come si possa spiegare la non – perdonabilità dei peccati contro lo Spirito Santo. Sappiamo per certo che Gesù ne parla, e che non pone alternativa. E lo spiega così: chi attribuisce al diavolo (cioè allo spirito del maligno) le opere di Gesù, che potevano essere compiute soltanto perché Dio assisteva Gesù, e quindi dovevano essere attribuite allo Spirito di Dio che operava attraverso Gesù (vi siete accorti? spirito del maligno contro Spirito di Dio: spirito contro Spirito), ... chi persiste in questo peccato non può essere perdonato, mai. Perché? La tradizione della Chiesa fin dall’antichità ha elaborato sette tipi di peccati contro lo Spirito Santo, e tutti queste sei peccati in verità si riassumono almeno in un punto, che richiama quello che ha detto Gesù. Lo spiego così: ci sono cose evidenti, impossibili a non essere capite per quello che sono nel più profondo. Che riguardano Dio, e l’uomo, e sono evidenti perché lo Spirito Santo agisce sempre e le rende evidenti. Uno potrà fare fatica a conoscere Dio, a capire come è, potrà avere parecchi dubbi, potrà fare fatica a capire chi è Gesù, ma davanti ad alcune “cose” DEVE riconoscere che esse sono buone e non possono venire dal prìncipe del male o dal “princìpio” del male che attanaglia l’uomo. Sono per se stesse evidenti a tutti. Così come alcune cose “perverse” sono evidentemente perverse.
Affermare che quelle “cose” buone vengono dal princìpio del male o dal prìncipe del male, e che alcune cose “perverse” vengono dal Dio del bene, questo vuol dire che si è diventati perversi e che si gode di andare contro Dio perché si è intuito bene chi è Dio e si è deciso di odiarLo. Perseverare in questo tipo di peccato vuol dire che siamo diventati come satana. Siamo già nell’inferno, anche se siamo ancora di qua. ... Dio ci preservi sempre l’onestà del cuore, e lo trasformi in un Suo Santuario. Poi: un figlio dice “sì” e fa “no”, e uno dice “no” e fa “sì” ... Purtroppo è realtà di molte situazioni di oggi, che ci obbligano a pregare parecchio. Poi ci sono anche quelli che dicono “no” e fanno “no”. ... Io, però, voglio riflettere su questo: non conta ciò che si dice, ma ciò che si fa. O meglio detto: quello che diciamo dovrebbe sempre essere una parola che dice ciò che abbiamo nel profondo del cuore e che corrisponde ai fatti.
O meglio detto ancora: la parola deve dire ciò che c’è nel cuore profondo, non nei sentimenti mutabili; e deve essere una parola che poi si traduce nei fatti, ma in tal senso: una parola che viene da un cuore buono, solido e profondo, con ricchi tesori di bene dentro. Ricchi della Grazia di Dio. Perché potremmo trovare una persona coerente, che fa ciò che dice, e dice ciò che porta nel cuore, ma il suo cuore è buio come la morte, pieno di egoismo. Un cuore asservito al male. Quindi, non dovremo mai avere una parola per adulare, confondere, imbrogliare ...
A volte si dovrà tacere, non dire, ma mai imbrogliare per tornaconti personali. E nemmeno una parola superficiale, di chi non si vuole impegnare veramente, di chi vive a seconda dei sentimenti del momento. ... E, come possiamo vedere ancora una volta, il problema è tutto su che cosa facciamo del nostro cuore. Perché da lì nascono le azioni, prima ancora le scelte, e dalle scelte le parole, sia le parole belle “diritte”, cioè sincere e rispettose, sia le parole “oblique”, false, egoiste. ... Dio ci conceda di sapere sempre di più, di avere sempre più parole attente adatte, giuste, e soprattutto un cuore caldo e sicuro, e ricco di grazia di Dio. Un cuore che sia uno scrigno nel quale il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo possano deporre e amministrare tesori di vita eterna per noi e per tutti quelli che avranno a che fare con noi. Vi benedico.

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