Era nato a Gorizia, un po’ per caso, l’undici giugno del 1936, se n’è andato nei giorni scorsi a Trieste, dove è sempre vissuto, il tenore Giuseppe Botta, per tutti Pino, all’età di ottantasette anni. “E’ sempre stato una persona molto vitale e combattiva e nel settembre scorso era uscito da una situazione quasi disperata” racconta suo figlio Riccardo, tenore pure lui, al telefono da San Gallo in Svizzera dove è artista residente. “Questa volta non ce l’ha fatta.”. Figlio di mamma austriaca e padre pugliese Pino Botta studiò canto a Trieste con la signora Eulalia Slavich. Al canto arrivò per spirito di emulazione, suo padre che per un certo periodo fu lo chaffeur personale del Duca d’Aosta, era un grande appassionato d’opera. “Non aveva basi professionali” ricorda Riccardo, “ma la sua era una voce dal timbro baritonale molto potente. Gli piaceva cantare mentre ascoltava i suoi dischi. Ha sempre trafficato con le automobili e in un incidente di macchina morì cinquantenne. Uno dei primi
Vicentino, Andrea Zaupa ha studiato canto nella classe di Rosanna Lippi e si è diplomato con il massimo dei voti al Conservatorio di Padova. Baritono, ha proseguito gli studi a Venezia con Sherman Lowe e si è perfezionato quindi alla Scuola dell'Opera di Bologna. Il debutto è stato casalingo, al Teatro Olimpico della sua Vicenza nel ruolo di Taddeo in L’Italiana in Algeri, Rossini, ottenendo un ottimo successo di pubblico e critica. Non si è più fermato, inanellando debutti e concorsi. Ottiene il quarto posto al primo Tour de Chant organizzato da Pippo Baudo e dalla rivista L’Opera su Rai1, vince il concorso Titta Ruffo e il concorso Silvano Pagliuca di Benevento. E’ stato a Benevento, era il 2008, che ci siamo conosciuti: gli era stato assegnato il personaggio di Slook ne La cambiale di matrimonio ma, per mancanza di fondi, la produzione fu soppressa. Gli consigliai, essendo membro della giuria, di presentarsi alle selezioni per Il Filosofo di campagna di Galuppi che il Piccolo
E’ arrivata a Trieste dal Teatro Carlo Felice di Genova la rilettura che la coppia registica Paolo Gavazzeni e Pietro Maranghi realizzò nel 2022 della celeberrima fiaba in musica di Rossini La Cenerentola firmata nel 1987 da Emanuele Luzzati. L’allestimento originale, cui collaborò per i costumi Santuzza Calì, è ancora oggi oggetto di culto e caposaldo della storia del teatro musicale grazie all’inconfondibile cifra stilistica con cui il grande scenografo genovese illuminò la fiaba rossiniana tratta liberamente da Perrault. Chissà perché la luce che Luzzati riverberò a piene mani nel dramma giocoso in due atti su testo di Jacopo Ferretti, si è trasformata negli anni in uno spettacolo buio in cui stentano a definirsi i confini, rossinianamente labili, fra dramma di formazione sentimentale della sfortunata Angelina, La Cenerentola del titolo, che trionfa grazie alla sua bontà, e l’elemento giocoso che prende il sopravvento quando la scena è occupata dai personaggi buffi del patrigno Don
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