GRANDE ESECUZIONE MUSICALE PER I VESPRI SICILIANI CHE HANNO INAUGURATO L'OPERA DI ROMA

Opera “da inaugurazione” per eccellenza Les Vêpres siciliennes costrinse Verdi, all’indomani del successo popolare della trilogia, a uno studio profondo della teatralità e dell’effetto drammatico attuato per mezzo del contrasto musicale che determina la minore evidenza delle melodie della maggior parte dei brani di questo Grand Opéra commissionatogli da Parigi. Le melodie si segnalano, infatti, per la loro dimensione quasi racchiusa e accorata, a volte tortuosa ed elaborata, a volte ripiegata su se stessa, ma sempre di grande presa. Dramma corale di ambientazione medioevale e siciliana Les Vêpres siciliennes integra al soggetto, di Le Duc d’Albe proposto in una versione rielaborata da Scribe a Verdi, quello divulgatissimo in quegli anni del saggio storico del patriota Michele Amari in cui si proponeva un’interpretazione innovatrice dei moti che portarono all’insurrezione di Palermo nei confronti degli invasori francesi, tradizionalmente giustificati come vendetta privata, e qui descritti come ribellione di massa della popolazione vittima dell’insolenza dei dominatori.
Certo è che l’impegno per rappresentare questo lavoro tenuto a battesimo a Parigi nel 1855 è grande e non sempre è ricambiato da un successo che ne giustifichi lo sforzo. Se la drammaturgia verdiana deve piegarsi alla tradizione del Grand Opéra e alla sua magniloquenza che si sviluppa nel corso dei lunghi cinque atti di libretto di Scribe e Duveyrier, il dramma storico si mescola alle vicende private dei personaggi principali senza con ciò creare quel gioco di contrasti che il Verdi più maturo di Don Carlo e Aida saprà così bene esprimere e tracciare. Scelta dal Teatro dell’Opera di Roma per inaugurare la sua stagione 2019/2020 Le Vêpres siciliennes è tornata sul palcoscenico del Costanzi dopo un’assenza più che ventennale nella sua versione originale francese e in un’esecuzione musicale di assoluto pregio. Ne è responsabile Daniele Gatti, Direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma e alla sua quarta inaugurazione di stagione nella capitale. Già nella celebre ouverture che segue lo schema tradizionale con introduzione e una sorta di svolgimento in forma sonata in cui i temi sono tratti dal corpo dell’opera, Gatti si mette a servizio dell’opera evidenziandone l’intenzione unificante a dispetto della complessità della vicenda.
Il suono orchestrale sa essere imperioso nei momenti, soprattutto corali, di maggiore concitazione, ma sa anche ripiegarsi al lirismo delle pagine più meditative e private che Verdi destina a ogni personaggio. Gli rispondono con grande partecipazione i complessi stabili del Teatro dell’Opera, l’Orchestra in grande spolvero, e il coro magnificamente preparato da Roberto Gabbiani. Gli risponde meno lo spettacolo, un nuovo allestimento ideato dalla regista sudamericana Valentina Carrasco che, con la collaborazione di Richard Peduzzi per le scene, di Luis F.Carvalho per i costumi, di Peter van Praet per i costumi e di Massimiliano Volpini per le coreografie che il pubblico della prima non ha gradito. Carrasco situa l’azione in un universo grigio in cui si vuole rappresentare la paura della popolazione nei confronti di un non ben identificato oppressore. Il concetto di partenza è però svolto in modo approssimativo senza riuscire a sciogliere i nodi drammaturgici di un testo molto articolato e rispettandone solo a tratti la magniloquenza.
Ci è sembrato fuori luogo, fra le altre cose, voler integrare nella vicenda principale quella del balletto, che Verdi concepisce come un corpo estraneo all’opera e di puro intrattenimento, e che qui vede la partecipazione, accanto al corpo di ballo del Teatro dell’Opera impegnato in figurazioni varie, gli stessi protagonisti della vicenda. Il palcoscenico è dominato dal Procida autorevole e autoritario di Michele Pertusi che porta in dote al suo personaggio la morbidezza della sua nobile linea di canto e il calore di una voce che non sarà quella del grande basso verdiano ma ha molte frecce espressive da giocare anche in virtù del suo ottimo francese.
Roberta Mantegna, dal canto suo, realizza una duchessa Hélène di grande nobiltà e forte impatto drammatico con un canto sempre composto e rilevante, delineando efficacemente la figura della cospiratrice, vittima del proprio passato, che non può concedersi all’amore. John Osborn, dall’acuto facile e svettante, restituisce con acume la figura tenorile e lacerata di Henri, il patriota che non può amare il proprio nemico anche se ne è figlio e offre una bella prova di sé.
A sua volta Roberto Frontali che è il tiranno Monfort, sa esprimere alla perfezione il carattere paterno passando con estremo agio dalle corde della protervia a quelle della tenerezza con bel suono e fraseggio di grande espressività. Completano la compagnia, in modo encomiabile, Irida Dragoti (Ninetta), Francesco Pittari (Danieli) e nelle fila dei dominatori francesi Saverio Fiore, Daniele Centra, Alessio Verna, Dario Russo e Andrii Ganchuk del progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma da cui proviene la stessa Roberta Mantegna. La dimensione corale, spettacolare e pubblica di Les Vêpres siciliennes è stata in ogni caso rispettata da un’esecuzione musicale che il pubblico della prima ha accolto con grande favore riservando qualche dissenso alla regista e ai suoi collaboratori. Ma questo fa parte ormai delle regole del gioco. 10 dicembre, di Rino Alessi. Foto di Yasuko Kageyama-Opera di Roma. bellaunavitaallopera.blogspot.com

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